Egitto, la condanna dei Fratelli Musulmani

La campagna delle prossime elezioni presidenziali in Egitto inizia con una sentenza-shock: 528 condanne a morte. I condannati sono tutti appartenenti al movimento dei Fratelli Musulmani. La condanna riguarda i gravi disordini dello scorso agosto, quando i militanti del partito e movimento islamico legato all’appena deposto presidente Mohammed Morsi, lanciarono una vera contro-rivoluzione, reagendo con ira funesta ai moti di giugno, che si erano conclusi con la loro cacciata dal potere. Fallito il tentativo, privo di ogni realistica speranza, di riconquistare il vertice o per lo meno di ritagliarsi uno spazio nel nuovo assetto governativo, i Fratelli Musulmani si erano abbandonati ad ogni tipo di violenza e minaccia, soprattutto contro i cristiani d’Egitto, collettivamente accusati di essere i grandi tessitori del complotto contro Morsi. Chiese, negozi, auto e altre proprietà vennero dati alle fiamme in gran numero, mentre i siti internet della Fratellanza negavano ogni responsabilità proprio quando incitavano la folla a continuare l’opera di “giustizia” contro i nemici religiosi, con la tipica doppiezza degli estremisti islamici.

La popolazione egiziana, stanca del caos creato dalla breve amministrazione Morsi (2012-2013) e atterrita dalla reazione violenta della Fratellanza, ha iniziato a individuare nel generale Al Sisi il proprio nuovo “uomo forte”, l’unico in grado di riportare l’ordine in patria. La Fratellanza, invece, ha iniziato a subire un colpo dietro l’altro da parte del nuovo governo provvisorio. Prima è stata bandita la sua Organizzazione Non Governativa. Poi è stato vietato il partito politico. Recentemente è stata revocata la cittadinanza a quei palestinesi che aderiscono a Hamas, movimento islamico armato strettamente legato alla Fratellanza. E, contestualmente, l’esercito egiziano, oltre a chiudere il valico di Rafah (il confine con Gaza, città governata da Hamas), ha anche distrutto quasi tutti i tunnel che collegavano clandestinamente Gaza con l’Egitto. Oltre i confini, i Fratelli Musulmani sono stati banditi ufficialmente anche in Arabia Saudita, dopo decenni di sostegno più o meno ufficiale. Esclusi completamente dai lavori della Commissione dei 50, l’assemblea costituente egiziana, gli islamisti non hanno potuto avere voce in capitolo sulla nuova legge suprema. Che, infatti, risulta essere una delle più laiche e tolleranti dell’intero mondo arabo-musulmano.

La condanna a morte di massa dei 528 militanti islamisti, dunque, giunge come ultima stazione di una vera e propria via dolorosa percorsa dalla Fratellanza. Tutto ancora da verificare, ovviamente, se si tratta di condanne esecutive (devono essere ancora controfirmate dal Gran Muftì del Cairo), o se saranno commutate in periodi detentivi. Sono, in ogni caso, il simbolo di una sconfitta strategica. E gli effetti sono già lì da vedere. Dei Salafiti non si parla più: erano i più integralisti degli integralisti, il loro partito (Al Nour) è tuttora legale e fa parte del nuovo governo, ma non fa più parlare di sé con proposte di islamizzazione radicale della legge egiziana. In Tunisia, dove i Fratelli Musulmani sono tuttora al governo, la nuova costituzione è ispirata soprattutto a valori secolari. Per lo meno: molto più di quanto non ci si attendesse. Hamas, a Gaza, sta attraversando una crisi che potrebbe porre fine al suo lungo e duro regime: tagliati gli aiuti dalla Siria (per ovvie ragioni) e alienata la simpatia dell’Egitto, resta veramente un’isola di integralismo islamico circondata da nemici.

Paradossalmente, in questa situazione, ci perdono gli Stati Uniti, poiché l’amministrazione Obama (e la seconda amministrazione Bush negli anni che l’hanno preceduto) aveva puntato incredibilmente sul cavallo della Fratellanza, anti-occidentale e anti-cristiana da sempre, ritenendola la vera espressione del volere popolare. Così facendo, non solo non ha riconosciuto la genuinità dei moti di giugno, alienandosi la simpatia degli egiziani, ma tuttora continua a invitare il Cairo a riammettere i Fratelli Musulmani nel gioco democratico. Anche il 21 marzo scorso, Marie Harf, portavoce del Dipartimento di Stato, ha ammesso l’esistenza di contatti fra Washington e la Fratellanza. Poiché “tutti i partiti hanno bisogno di essere parte del futuro egiziano”. Tutti, compresi quelli che hanno cercato di instaurare una dittatura e sono stati cacciati a furor di popolo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45