Referendum in Veneto: una giornata triste

Oggi molto più della Crimea è il Veneto a fare notizia. Forse bisognerebbe ammettere: anche grazie alla Crimea, perché la voglia di tanti cittadini di esprimersi liberamente sul futuro della propria terra è stata sollecitata dal modo con il quale gli abitanti della penisola del Mar Nero hanno liquidato la pratica separatista. In pochi giorni sono passati dalla sovranità ucraina a quella russa senza troppe storie. Quello che sta passando attraverso la capillare copertura mediatica degli eventi internazionali, nell’anno nel quale anche la Scozia e la Catalogna si pronunceranno sul proprio diritto all’indipendenza, è che vi è spazio, avendone la ferma volontà, di riappropriarsi di ciascun destino individuale e collettivo e, attraverso una elastica interpretazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli, sbattere la porta e andarsene per i fatti propri.

Anche in Belgio, nel compassato regno di Filippo, monarca di sangue italiano (la madre è una Ruffo di Calabria), le cose non stanno poi tanto meglio. I nordici fiamminghi scalpitano per separarsi dai terroni della “Vallonia”, terroni e francofoni. E in Belgio, cosa dicono i cittadini del loro amato Paese? België? Barst!” (Il Belgio? Che crepi!). Alla faccia dell’orgoglio nazionale! Tutto ciò sta accadendo nel cuore della vecchia Europa. C’è da ridere? C’è da scherzarci sopra? Tutt’altro. Ce l’abbiamo ancora addosso la puzza del sangue sparso per tutto l’ultimo decennio dello scorso secolo nell’inferno dell’ex-Jugoslavia. Anche nel felpato linguaggio della diplomazia, “balcanizzazione” suonava come una parolaccia. Eppure non s’era detto che si voleva un’Europa dei popoli?

Ora, il referendum on-line organizzato in Veneto non è il frutto un po’ goliardico, un po’ avvinazzato di un’allegra brigata di buontemponi. Non c’è il Sacro Ordine del “Bastardo del Grappa” a tirare le fila della secessione. È qualcosa di molto diverso, e peggiore. È, innanzitutto, un segnale o, se si vuole, un indicatore di un disagio non più sostenibile. Il carattere di questo disagio non si limita all’aspetto economico-fiscale, che pure lo determina in modo significativo. Il disagio di cui si parla è ben più profondo, ha una natura ontologica. Colpisce al cuore l’individuo che si sente esproriato dei suoi fondamenti esistenziali. Egli non ritrova più ciò in cui ha creduto, le cose e i luoghi che segnano il perimetro della sua vita. Il cittadino che si siede davanti al computer per dire sì alla secessione non è un pazzo, o un egoista. È solo qualcuno a cui è stato portato via troppo. Vogliamo ignorarlo? Liberi di farlo, ma di questi qualcuno pare ve ne siano stati oltre un milone e ottocentomila. Un milione e ottocentomila veneti che hanno detto sì, andiamo via.

Per fortuna non sono la maggioranza, visto che la regione di abitanti ne conta quasi cinque milioni. Alla fine, non se ne andranno. Resteranno, ma non perché avessero commesso eresia a pensare di separarsi dal resto del Paese. Resteranno perché solo se questa sgangherata cosa che è l’Italia, male messa in arnese e peggio rappresentanta dai suoi politici, riuscirà a restare unita, fosse pure incollata con lo scotch, se la caverà. O se ne esce insieme dal guaio in cui ci siamo ficcati, o saranno dolori per tutti. Nessuno escluso. La geografia non c’entra, c’entrano i debiti che abbiamo sul groppone, c’entra l’euro che portiamo in tasca. Non c’entrano gli zecchini o i fiorini che non abbiamo e che, invece, ci piacerebbe maneggiare. Resteranno, perché ancora sessanta giorni e la musica in Europa sarà tutta un’altra. I burocrati e i capibastone di Bruxelles lo sanno e non sono affatto tranquilli. Annusano l’aria e avvertono che un’onda anomala li travolgerà. Questo fenomeno da mitologia del mare che prenderà forma alle prossime elezioni si chiama populismo. I suoi tedofori sono i partiti che si propongono di buttarla giù questa Europa dei potenti e dei banchieri e della burocrazia. Questa Europa calvinista, che pensa soltanto agli interessi dei più forti, perché a essere deboli e poveri si fa peccato. Questa Europa così snob che non si vede l’ora di mandarli tutti a…

La situazione che sta montando nel Vecchio Continente è terribilmente seria, non si può sottovalutarla. E i sorrisetti dei Barroso e dei Van Rompuy, come prima quelli della Merkel e di Sarkozy, sono più simili alle “brioches” di Maria Antonietta che non al “più l’uomo sa, più perdona”, di Caterina di Russia, la Grande. Immaginate per un momento cosa potrebbe accadere se Marine Le Pen in Francia, e Grillo in Italia, insieme alla canea ululante dei partiti xenofobi sparsi in tutto il continente, a Nord come a Est e a Sud, prendessero una valanga di voti. Sarebbe possibile per le “teste d’uovo” di Bruxelles far finta di niente? Continuare a dirigere la macchina come se nulla fosse accaduto? È vero! Oggi la forma democratica di governo è in crisi. Mostra l’usura degli anni e molte sono le cause del suo malessere. È vero! II decisionismo putiniano attrae e conquista molto più dell’arroganza della Merkel o dell’improvvisazione politica di Obama. Come conquista la leadership cinese che tutto è fuorché democratica, però macina punti di Pil e ricchezza che è un piacere. È vero!

Questa democrazia ha perso molti dei suoi tratti nobili. Ha dato la stura a particolarismi di ogni genere, piccoli e grandi egoismi di nazioni come di gruppi di potere, al punto che tra Stati e lobbies non si è più riusciti a distinguere nitidamente il confine, il limite, il landmark. È vero! Con questa rifrazione della luce, il nostro Governo, quello italiano, appare se possibile ancor più frammentato, e modesto, incapace com’è di sostenere la nacessaria mediazione tra la domanda disaggregata che promana dalla società civile e l’offerta di mercato che rinvia il vertice europeo: troppo articolata l’una, troppo ristretta e asfittica l’altra. È vero! Con questa Europa il potere reale ci è apparso ancora più distante da perdersi alla nostra vista, da non rientrare nel nostro orizzonte. E un potere così se non è immediatamente visibile diviene, gioco-forza, oscuro, misterioso, e per la comune vulgata, “massonico”. Un potere così, che ci ha impoverito, ci ha portato via molto di ciò che ci apparteneva, è il nemico per antonomasia. Tu stai dall’altra parte della barricata, non può essere diversamente. E senti che prima o poi su quella barricata ci sali perché un potere così non lo si cambia, si cerca di abbatterlo.

È tutto drammaticamente vero, ma allora che si fa? Buttiamo via tutto, il bambino e l’acqua sporca? E dopo? Ci abbiamo messo tanto a farla questa Europa. Non è certo come l’avevamo pensata e voluta. È insufficiente, per molti aspetti ingiusta. E sono troppe le volte che i suoi leader ci fanno incazzare per come sono stupidi, miopi e arroganti. Ma è la nostra Europa. Non ce la facciamo portar via da quel solo, unico moto d’irrazionalità e d’istinto che pure alberga nella nostra testa, che pure ci sta tutto ma che non deve avere la meglio.

Dalle nostre parti, che sono parti di cronica povertà e di perenne disagio esistenziale, si è soliti ripetere: “Piuttosto che niente, meglio piuttosto”. Ci piacerebbe dirlo ai fratelli veneti, senza pretesa alcuna di ammaestramento delle coscienze: resistete, resistiamo, perché è giusto farlo. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli e anche alle generazioni che verranno perché saranno generazioni di nuovi italiani. Andarsene non serve. Piuttosto Italia. Piuttosto Europa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:50