Da oggi la Crimea è (di nuovo) russa

Non c’è gloria alcuna nel dire “l’avevamo detto”. Eppure, l’avevamo detto e scritto. Il destino della Crimea era già segnato dal primo momento nel quale la crisi interna ucraina da contestazione di piazza contro un governo di un satrapo corrotto e incapace di dare benessere ai propri cittadini, si è trasformata in moto rivoluzionario per l’indipendenza politica dall’influenza russa. Era del tutto scontato che, in presenza di un mutamento di scenario che andava a rovesciare gli equilibri geopolitici conseguiti dopo la caduta del Muro, il Cremlino corresse a porre immediati ripari, il primo dei quali quello di riappropriarsi della penisola proiettata nel Mar Nero.

La Crimea, in realtà, non è mai stata davvero ucraina. Se così figurava negli atti di Stato dalla metà dello scorso secolo è perché i despoti comunisti, succedutisi al potere nell’immenso impero sovietico, coltivavano un perverso gusto per fare e disfare territori e comunità, sventuratamente finiti sotto il loro tallone, secondo logiche di potere talvolta palesi, altre totalmente oscure. La Crimea non è mai stata davvero ucraina per storia, per etnia prevalente, per lingua, per costumi, per religione, per interessi strategici. L’unica possibilità praticabile sarebbe stata quella di avere una Crimea ucraina in un’Ucraina totalmente “russa”. Ciò è stato vero ai tempi del dominio sovietico, ma lo è stato altrettanto anche dopo la fine di quella esperienza, giacché un conto è l’ideologia, altro è l’interesse nazionale.

Sulla Crimea il dato certo è che vi è, da parte di Mosca, un interesse strategico irrinunciabile a trattenerla nella propria sfera d’influenza. Soltanto un illuso potrebbe pensare che il Cremlino si pieghi a donare graziosamente quel territorio strategico a chiunque altro non ricada sotto la sua sovranità. E le vicende ultime hanno mostrato che l’odierna Ucraina non è più affidabile come lo è stato per il passato. Se poi qualcuno pensa di dover fare sua quell’area del Mar Nero, allora si rassegni all’idea di uno scontro frontale con il gigante russo. Sia chiaro: la Crimea, se la si vuole, la si deve conquistare con la forza delle armi. Lo sanno bene gli europei e lo sappiamo anche noi italiani che, per contendere la penisola ai russi, ci siamo stati, negli ultimi due secoli, per ben due volte a combattere, e a morire. La prima volta è stato nel 1853. In quella circostanza, al fianco delle truppe franco-inglesi, fu inviato un corpo di spedizione dell’esercito sardo-piemontese. La vittoria sul campo fece da viatico alla monarchia sabauda per condurre l’Italia all’unificazione.

La seconda volta ci siamo finiti, spediti praticamente a piedi dal Duce, con il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (Csir), nel corso del Secondo conflitto mondiale. Era la prima decade del maggio del ‘42 quando le armi italiane e quelle tedesche l’occuparono totalmente. In quella circostanza i russi furono sconfitti e dovettero ripiegare. La storia non è fatta di se ma, come si dice, i se aiutano a capire la storia. Se le truppe dell’asse si fossero limitate, in quelle drammatiche circostanze, a tenere la Crimea e a consolidare la conquista del bacino del Donetz, piuttosto che tentare la penetrazione nel cuore del territorio sovietico, inseguendo la chimera del ricongiungimento con l’Asia minore e con il Medioriente attraverso la via del Caucaso, non ci sarebbe stata una “Stalingrado” e probabilmente oggi racconteremmo tutta un’altra storia. Ma le cose alla fine sono andate come sappiamo e faremmo bene a non rammaricarcene.

Per tornare ai nostri giorni, l’operazione di riassorbimento di quella regione si sta completando in tempi record. È stato sufficiente che le istituzioni locali si pronunciassero per la riannessione alla Federazione russa e che le autorità di Mosca dessero il nulla osta perché la partita si potesse considerare risolta. Manca solo il passaggio referendario di domenica prossima, ma è evidente che è poco più di una formalità. Tutto questo sotto il naso degli “europei” impietriti dalla paura, degli stessi ucraini del Continente che si sono affrettati a dichiarare che non impugneranno le armi per tentare la riconquista della Crimea e in barba all’amministrazione Obama che sempre più assomiglia a un cane che abbaia alla luna. Per il Cremlino si porrà il problema di garantire i diritti delle minoranze ucraina e tatara che comunque vivono stabilmente nella penisola. Sarebbe inammissibile che venisse consentito un piano di pulizia etnica ai loro danni. Ma a Mosca non sono stupidi, come lo sono in certe stanze di Bruxelles, e non si faranno certo crocifiggere dalla Comunità internazionale per consentire lo sfogo di istinti ultranazionalistici. Vedrete che la Crimea diventerà un modello di convivenza pacifica interetnica, alla faccia di tutti i detrattori.

Ora però che la Crimea è assicurata, il pallino della partita ucraina è totalmente nelle mani di Putin, il quale ha davanti a sé una scelta da compiere. Lo “zar” deve decidere se intende limitarsi a vincere questa contesa o se, invece, desidera stravincere la partita con l’umiliazione di tutti coloro che lo hanno insensatamente provocato. Il buon senso vorrebbe che si avviasse un negoziato serio che, alla fine, prevedesse sì la sopravvivenza di un’Ucraina continentale unita ma in una dimensione federale dello Stato, dove le singole realtà etniche presenti non siano discriminate ma abbiano pari dignità e pari diritti. E dove una certa influenza russa non sia esclusa in via pregiudiziale, al contrario trovi adeguato spazio rispetto alle scelte politiche di un nuovo esecutivo insediato a Kiev e rappresentativo di tutte le istanze presenti sul campo.

Brucia la sconfitta sulla Crimea? Certo che brucia. Ma se non si voleva arrivare a questo bel risultato ci si doveva pensare prima. È stato inqualificabile il comportamento di una Commissione Europea imbelle e germanofona che ha provocato ripetutamente la Russia nel dichiarato intento, sciocco, pretenzioso, arrogante, di sfilare l’Ucraina dall’area d’influenza di Mosca. Putin, navigato politico e scaltro cacciatore, è rimasto a guardare attendendo il momento giusto per fare le sue mosse decisive. Ora che ha cominciato a muovere le sue pedine sulla scacchiera che si fa? Dichiariamo guerra alla Russia o ce la prendiamo in saccoccia, come dicono a Roma i benpensanti?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:50