Iran, la nuova Guerra fredda

Due nuove centrali nucleari in Iran. Lo ha promesso la Russia, in un accordo preliminare con il regime di Teheran, annunciato ieri. “L’Iran e la Russia hanno concluso un accordo preliminare per la costruzione di almeno altre due centrali”, ha detto Kamalvandi, portavoce dell’Agenzia Atomica iraniana, precisando che l’accordo era stato concluso nel corso di negoziati ieri a Teheran con Nikolai Spassky, vicedirettore della società russa Rosatom. L’accordo sarà ufficialmente firmato in una data che non è stata precisata da Ali Akbar Salehi, capo dell’ente atomico iraniano e dal presidente di Rosatom, Serghiei Kirienko. Le due parti, ha aggiunto, devono ancora finalizzare “gli aspetti tecnici e finanziari” dell’accordo. Teheran vuole costruire complessivamente 20 centrali da 1000 megawatt, quattro delle quali a Bushehr, dove è attualmente operativa l’unica centrale iraniana.

Se ci eravamo dimenticati della questione iraniana, a causa della forte tensione in Ucraina, alle porte di casa nostra, l’annuncio di ieri ci riporta alla realtà della crisi nucleare, tutt’altro che finita. Dopo l’ultimo round negoziale con il gruppo di contatto P 5+1 (i cinque membri del Consiglio di Sicurezza più la Germania) pareva di essere giunti a un buon livello di accordo. Nell’ultima conferenza stampa congiunta Ue-Iran, Catherine Ashton, a Teheran, non aveva garantito nulla sul successo dei colloqui, ma aveva dichiarato che un compromesso fosse possibile “entro pochi mesi”. I termini degli ultimi accordi comprendevano la sospensione dell’arricchimento dell’uranio (processo industriale che può preludere alla costruzione di bombe atomiche) contro la sospensione delle sanzioni internazionali all’Iran.

L’offerta russa riapre di nuovo il vaso di Pandora su un altro fronte, quello di impianti nucleari che potrebbero produrre plutonio, quale materiale di scarto della combustione utilizzabile anche a scopi militari. Ma al di là dell’aspetto tecnico, oggettivamente pericoloso, è il significato di questo accordo preliminare che dovrebbe destare allarme. Perché dimostra due aspetti finora sottovalutati: un appoggio sostanziale della Russia al programma atomico iraniano (militare o civile che sia, lo si scoprirebbe troppo tardi) e la non volontà dell’Iran di cambiare rotta, nonostante il “disgelo”, più a parole che nei fatti, del nuovo presidente di Teheran, Hassan Rouhani. Partiamo da quest’ultimo aspetto. Che vi fossero poche speranze di cambiamento lo abbiamo visto fin da subito. La chiave del programma atomico è nella mani dell’ayatollah Khamenei e della Guardia Rivoluzionaria, non del presidente. Lo stesso Rouhani, quando dieci anni fa era capo negoziatore sul nucleare, vantava di aver preso tempo con la diplomazia europea e di aver permesso all’Iran di costruirsi i suoi nuovi impianti di arricchimento dell’uranio.

Insomma, l’odore della truffa, del gioco del “poliziotto buono (Rouhani) e poliziotto cattivo (Khamenei)”, si poteva già sentire nettamente. Certo è che l’Ue ha voluto farsi illudere, esattamente come gli Stati Uniti, perché non vedeva l’ora di sospendere sanzioni economiche che danneggiavano anche investitori europei e americani in Iran. E a Obama un bel successo diplomatico serviva urgentemente, specie dopo lo smacco del mancato intervento in Siria. Già la settimana scorsa l’Iran aveva dimostrato palesemente di non aver archiviato i vecchi metodi di nazione sponsor del terrorismo, nel momento in cui era stato sequestrato un carico di armi iraniane dagli israeliani, destinato a Hamas o alla Jihad palestinese. Si dirà che l’appoggio ai gruppi terroristi anti-israeliani non c’entra nulla con la questione nucleare. D’accordo. Ma è indicativo sulle intenzioni del regime iraniano e soprattutto sulla sua “scarsa trasparenza” (per usare un eufemismo). Adesso l’annuncio di un nuovo piano nucleare russo- iraniano dovrebbe aprire gli occhi sulla realtà: l’Iran non ha mai rinunciato all’atomica, ha solo fatto vaghe promesse di disarmo per ottenere la sospensione delle sanzioni, solo perché queste ultime stavano iniziando a minare la sua economia.

L’altro elemento che dovrebbe preoccupare ancor di più è l’atteggiamento della Russia. Da quando è iniziato il braccio di ferro in Crimea, il Cremlino ha iniziato a flettere i muscoli in tutto il mondo, annunciando la costruzione di nuove basi in America Latina e adesso pure una nuova politica di sostegno all’Iran, colpendo gli interessi statunitensi dal Medio Oriente all’estremo occidente. E sembra essere solo l’inizio, perché altre mosse Mosca le compierà sul fronte energetico, nell’Artico e in Asia Orientale, ovunque nutra interessi forti. Questa è l’ennesima dimostrazione che, dal punto di vista di Vladimir Putin, la Crimea è il pretesto, ma il suo obiettivo è quello di vincere una sfida globale contro gli Usa. Le lancette dell’orologio sembrano esser tornate indietro di 25 anni. Con l’unica “piccola” differenza che l’attuale blocco occidentale non è più predisposto, né politicamente, né economicamente, né moralmente, ad affrontare un nuovo mondo bipolare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46