Israele: oscuri presagi di guerra

Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace, prepara la guerra. È un’espressione tipica della saggezza dei nostri progenitori che, oltre duemila anno or sono, civilizzarono il mondo. Oggi potrebbe essere il consiglio che ogni persona di buon senso sentirebbe di dare agli israeliani, vista la piega che stanno prendendo gli eventi. Netanyahu e Abu Mazen hanno assunto l’impegno di negoziare una pace definitiva che fosse fondata sulla coesistenza su una stessa terra di due Stati indipendenti. Israele, in particolare, ha puntato tutte le sue carte migliori sull’esito favorevole del negoziato di pace.

Per dare prova di assoluta buona fede, le autorità di Gerusalemme hanno provveduto a rilasciare un cospicuo numero di palestinesi detenuti per gravi reati contro la sicurezza dello Stato. La decisione unilaterale di un atto di clemenza così impegnativo ha prodotto divisioni laceranti tra la popolazione ebraica. Nonostante ciò Netanyahu ha tirato dritto per la sua strada nella speranza che un gesto tanto forte potesse convincere l’interlocutore. E i palestinesi? Da subito Abu Mazen e i suoi hanno sostenuto che le proposte di riconoscimento di Israele come Stato ebraico e di frazionamento della capitale Gerusalemme fossero irricevibili. I palestinesi hanno sempre pensato che la città santa fosse cosa loro da non spartire con altri. Nelle fasi iniziali della trattativa si poteva supporre che la pressione internazionale potesse condurre i palestinesi su posizioni più ragionevoli. Ma così non è stato. A poco più di un mese dalla data fissata per la conclusione del negoziato, i dirigenti dell’Anp (Autorità Nazionale Palestinese) hanno reso più aspri i toni della polemica, rilasciando dichiarazioni dai contenuti inequivocabili.

Le forze fautrici del dialogo contavano sul fatto che i dirigenti dell’Anp avessero perso consensi all’interno del gruppo degli amici storici della causa palestinese. Secondo gli analisti il bisogno di stabilizzare l’area, anche alla luce del catastrofico fallimento delle “primavere arabe”, avrebbe dovuto fare aggio sulla rigidità delle posizioni dell’Anp. Invece, la scorsa domenica, la Comunità internazionale ha constatato quanto illusoria fosse l’idea di contare sugli altri Paesi arabi per convincere Abu Mazen e i suoi ad accettare il punto dirimente dell’intera vicenda: il riconoscimento di uno Stato ebraico. Nel corso della riunione dei ministri degli Esteri della Lega Araba, tenutasi al Cairo, i partecipanti hanno votato un documento nel quale si afferma: “Il Consiglio della Lega Araba conferma il proprio sostegno alla dirigenza palestinese nel suo sforzo di porre fine all’occupazione israeliana sulle terre palestinesi e rimarca il suo rifiuto di riconoscere Israele come stato ebraico”.

Si tratta di un colpo micidiale, forse definitivo, alle speranze di veder concluso con successo il negoziato di pace. La verità è che, per l’ennesima volta, la Comunità internazionale va a sbattere contro il muro di arrogante intransigenza del mondo arabo che, francamente, è divenuto insostenibile. La pretesa di Abu Mazen è quella di veder riconosciuto uno Stato, quello palestinese, senza riconoscere l’eguale diritto dell’altra parte. Vi pare che sia cosa tollerabile? La chiusura del leader palestinese sul terreno della trattativa, che non è una notizia, incrocia un’altra non- notizia che, tuttavia, deve allarmare e non poco. La scorsa settimana, grazie a un’efficace azione d’intelligence, le Forze di Difesa Israeliane hanno intercettato e sequestrato un cargo al largo di Porto Sudan, nel mar Rosso, che trasportava clandestinamente missili a lungo raggio, diretti alla Striscia di Gaza. I servizi di sicurezza israeliani hanno stabilito che i razzi, di fabbricazione siriana, erano stati inviati da Teheran per l’approvvigionamento bellico di Hamas.

Le autorità militari di Gerusalemme si dicono convinte che nel prossimo futuro dovranno prepararsi a fronteggiare attacchi missilistici simultanei da due, forse tre aree diverse: la striscia di Gaza, il Libano meridionale e la Siria. Il fatto che i palestinesi si siano dotati degli M-302, missili a lungo raggio in grado di percorrere fino a 200 chilometri prima di abbattersi sull’obiettivo, mette in pericolo le popolazioni civili delle più grandi città d’Israele. Come stiano realmente le cose lo ha spiegato il generale Shahr Shohat, capo del Comando della Difesa aerea israeliana, nel corso di una conferenza sulla sicurezza tenuta a Tel Aviv, presso l’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale. “In un’eventuale prossima guerra – ha dichiarato il generale – ci troveremo ad affrontare decine di migliaia di razzi di ogni tipo e decine di droni, verosimilmente su entrambi i fronti”(settentrionale e meridionale, ndr). Per la difesa aerea israeliana ormai è una lotta contro il tempo. Il vecchio ombrello protettivo steso sui cieli del Paese, denominato “cupola di ferro”, non è in grado di reggere l’impatto di missili del tipo di quelli sequestrati come l’M-302 in grado di sostenere una testa di 140 chili. Il razzo è classificato come “arma statistica” ovvero arma che colpisce nel mucchio avendo come target affollate comunità di civili. L’arma terroristica per eccellenza.

Per fronteggiare la minaccia dal cielo, gli israeliani stanno lavorando con gli americani alla messa a punto di un nuovo ombrello di protezione. Si tratta del sistema d’intercettazione missilistica denominato “fionda di David”, ancora in fase di realizzazione. Esso non è disponibile in via immediata, cosa nota ai palestinesi e al regime di Teheran. Israele deve prepararsi al peggio. Fidarsi ancora della credibilità dei dirigenti palestinesi equivarrebbe a un suicidio. Sarebbe bene che il governo di Gerusalemme iniziasse a guardarsi intorno per capire su chi può contare e chi no, nell’ambito della Comunità internazionale. A questo proposito, desta preoccupazione la posizione dell’Italia sullo stallo dei negoziati. Posto che il nostro Governo una posizione l’abbia, del che è lecito dubitare, le foto che stanno circolando in queste ore di una giovane Federica Mogherini che fa bella mostra di sé al fianco di Arafat, fanno sorgere il legittimo sospetto che la nuova politica estera italiana sarà quella scritta nei documenti arcobaleno dell’Arci o copiata dai documenti d’archivio della Fgci.

La sinistra borghese radical chic fecondata da un imperante Veltroni, tutta salotti e kefiah, a cui la giovane ministra è iscritta di diritto, ha l’abitudine di parteggiare per i palestinesi, qualsiasi cosa facciano o dicano. Questo atteggiamento preconcetto potrebbe portare l’Italia a negare decenni di consolidata amicizia con Israele. Sarebbe opportuno che Renzi intervenisse sulla questione e ci spiegasse se ha un’idea chiara della situazione. Desideriamo conoscere dov’è che l’attuale ministro degli Esteri intende collocare il nostro Paese. A quale sponda vuole farci approdare soprattutto se dovessero, non lo auspichiamo ma lo consideriamo possibile, riprendere le ostilità sul campo. Questa volta non avere una linea di politica estera certa non sarebbe soltanto colpevole, peggio, sarebbe criminale. E non pensi il giovane premier di cavarsela con una battuta. Non venga a dirci, Renzi, che la Mogherini in quella foto aveva preso un abbaglio, magari pensava che dietro quella barba ci fosse Franceschini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46