Il pericoloso gioco di Vladimir Putin

In Ucraina, come è noto, non è scoppiata una guerra calda. Almeno per ora. Ma è già in corso una guerra di informazioni, nell’etere e su Internet. La Russia si è lanciata nella sua ennesima campagna di “disinformacija” di cui il Kgb (ora Fsb) è allenato da mezzo secolo. Ha creato un’emergenza profughi che non esiste, mostrando immagini di code di russi in fuga... al confine con la Polonia. Ha pompato un’emergenza nazismo/antisemitismo che c’è, ma non è così estesa. Ha diffuso notizie di siti religiosi ortodossi distrutti, che nella realtà sono ancora lì, intatti e preservati come prima. E molta gente, anche qui in Italia, ci crede per partito preso. Adesso è riemerso pure Edward Snowden (l’ex tecnico a contratto dell’Nsa americana), dal suo esilio russo, per dire che la politica statunitense, in realtà, è guidata da un governo-ombra che prende ordini niente meno che... dagli alieni. E la “notizia” viene pure rilanciata dalle agenzie (Aperta parentesi: ma allora quando il premier Medvedev parlò di contatti con gli alieni, “che ci spiano da decenni”, non stava scherzando? Chiusa parentesi).

Alla fine, però, è uno solo il messaggio che la Russia sta veicolando ed è rivelatore delle sue prossime mosse: “La Crimea è una regione russa, appartiene alla storia russa, è abitata da russi e vuole tornare sotto Mosca”. C’è una gran confusione sulla data (ora si parla del 16 marzo) in cui si deciderà questa ri-annessione, con un “referendum”, che si svolgerà rigorosamente sotto lo sguardo attento dell’esercito russo e senza osservatori internazionali dell’Osce, che vengono regolarmente respinti al mittente ogni volta che si presentano alla frontiera. Si può parlare di auto- determinazione dei popoli? I cittadini della Crimea non hanno mai realmente avuto alcuna possibilità di esprimersi. Lunedì lo hanno capito, sulla loro pelle, pochi coraggiosi manifestanti che chiedevano di mantenere la Crimea in Ucraina: sono stati colpiti a suon di bastonate, frustate e pugni dai russi. Mosca, tuttavia, vuole far credere di battersi per l'autodeterminazione della Crimea. E ha fatto digerire questo principio anche all’ex presidente Yanukovich che ieri è tornato in televisione (ma non era gravemente malato di cuore? Così si diceva fino al fine settimana...) per affermare che “se la Crimea secede dall’Ucraina è colpa degli errori di un governo illegittimo e golpista che si è insediato con la forza a Kiev”. Quindi, anche colui che si ritiene il legittimo capo del governo ucraino, l’unico riconosciuto da Mosca (ma non dal suo stesso parlamento e, ormai, neppure dal suo stesso Partito delle Regioni) accetta una separazione della regione strategica nel Mar Nero, per poterla consegnare, chiavi in mano, al Cremlino.

L’opinione pubblica europea è pronta ad accettare questo esito? Gli opinionisti pro-russi ritengono che, per lo meno, la mossa russa non sia nulla di diverso rispetto all’intervento Nato in Kosovo del 1999, in un territorio sovrano, per ottenere una secessione. Quindi non c’è nulla di nuovo sotto il sole: lo abbiamo accettato nel ‘99, accettiamo anche oggi. Questo lo pensa solo chi ha la memoria corta. Perché l’intervento armato in Kosovo avvenne nel bel mezzo di una guerra civile, in cui la popolazione albanese locale stava subendo, se non un genocidio, una persecuzione di massa da parte dell’esercito serbo. La decisione di intervenire nel Kosovo fu collegiale, pubblica ed emersa dopo mesi di dibattito in tutti i forum internazionali: benché l’Onu non si fosse potuto esprimere, a causa dei veti di Cina e Russia, ben due organi sovranazionali, l’Ue e la Nato, responsabili della sicurezza regionale, si sono espressi a favore di un’ingerenza umanitaria. Anche quando partirono i primi missili, lo scopo della Nato non era quello di far secedere il Kosovo (l’indipendenza venne proclamata nove anni dopo, in tutt’altre circostanze), ma di far finire la guerra civile e prevenire un’ondata di profughi, che avrebbe travolto soprattutto l’Italia. In Crimea non c’è alcuna di queste condizioni. Non c’è una guerra civile in corso. Non c’è alcuna persecuzione di russi (semmai sta iniziando una persecuzione russa ai danni di tatari e ucraini). Non ci sono profughi. Non c’è pulizia etnica. Ma soprattutto: non c’è stato alcun dibattito internazionale. La Russia sta agendo unilateralmente, senza chiedere il permesso ad alcuno.

Da un punto di vista giuridico, Mosca sta violando la dichiarazione di Alma Ata del 1991, con cui furono riconosciuti i confini dell’attuale Ucraina indipendente e sovrana. Sta ignorando il protocollo di Budapest del 1994, con cui Mosca stessa, assieme a Londra e Washington, si fece garante degli attuali confini ucraini, in cambio del disarmo nucleare del governo di Kiev. E, autorizzando l’uso della forza in Ucraina, dunque in terra straniera, rischia di passare un confine molto pericoloso, giuridico oltre che militare: l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite legittima l’auto-difesa ucraina in caso di violazione dei suoi confini internazionalmente riconosciuti.

La Russia denuncia il “golpe” dell’Ue a Kiev e ritiene che la propria invasione sia una misura difensiva. Ma il Cremlino si è “dimenticato” di condurre un’indagine internazionale e indipendente che provi l’esistenza di tale “golpe”, che per ora esiste solo nella mente dei dirigenti del Cremlino e dei loro volontari e involontari sostenitori europei. Per ora, fino a prova contraria, sappiamo che in Ucraina è scoppiata una rivoluzione (non un “golpe”) locale, in cui l’unico ruolo dell’Ue è consistito nell’esprimere sostegno politico all’opposizione, minacciare sanzioni al governo (a repressione già avviata) e riconoscere il nuovo governo di Kiev a cose già fatte. Un po’ poco per parlare di “golpe”: le prove non ci sono e gli indizi suggeriscono un sostanziale disinteresse europeo sulla questione ucraina fin proprio agli ultimi giorni, quando ormai era impossibile non proferire parola.

Non ci si rende mai conto che, dal momento in cui Yanukovich è stato spodestato e la sua ricca magione è stata occupata dai manifestanti (ed esposta al pubblico ludibrio), il gioco è completamente cambiato. Se Mosca avesse voluto rispondere all’influenza dell’Ue, cercando di riportare l’Ucraina dalla propria parte, avrebbe agito con tutt’altri metodi. Avrebbe, infatti, potuto comprare di nuovo il consenso del Partito delle Regioni, sollecitare proteste nelle regioni autonomiste e separatiste dell’Est, sostenere politicamente un movimento pro-russo in Crimea e nel Donbass. Alla mala parata, in caso di guerra civile, avrebbe potuto passare armi sotto-banco ai separatisti. Con l’autorizzazione all’uso della forza in Ucraina, invece, il presidente russo Vladimir Putin ha deciso di cambiare radicalmente gioco. Immaginatevi una partita a Risiko: è come se uno dei due giocatori, una volta perso un territorio importante, invece di contrattaccare con i suoi carri armati, decidesse di prendere il tabellone a due mani e buttare tutto all’aria. Questo è ciò che sta facendo Putin. E perché? Perché, evidentemente, l’Ucraina e la Crimea, per lui, hanno un ruolo marginale. Il suo obiettivo è ben più vasto. Ha compiuto un’azione plateale perché vuole testare i nervi e le intenzioni della Nato. Non a caso, il Senato russo chiedeva anche la rottura delle relazioni diplomatiche con Washington, le forze missilistiche strategiche sono andate in stato di allerta (e i missili sono puntati sugli Usa) e sono giorni che, sia la Lituania che la Polonia, entrambe ai confini con l’enclave russa di Kaliningrad, subiscono più o meno velate minacce dal Cremlino.

Insomma, Putin ha agito in modo esasperato, perché vuol creare panico. Non gli importa tanto dell’auto-determinazione della Crimea (mai stata votata), della sorte di un presidente Yanukovich (mai stato apprezzato dal Cremlino), o della protezione di civili ucraini di lingua russa vittime di persecuzioni naziste (che non ci sono). Quello di Putin è un pretesto per sfidare la Nato, vedere come reagisce a una minaccia militare in Europa, studiarne le mosse, capirne i meccanismi di risposta, sondare l’opinione pubblica dei suoi Paesi membri, a partire dagli Stati Uniti. La risposta che daranno i nostri governi sarà di fondamentale importanza per capire il futuro dei nostri rapporti con la Russia. E in ogni caso, sarà molto rischiosa. Perché una sovra-reazione può, a questo punto, innescare una guerra vera. Una non-reazione, invece, può incoraggiare il Cremlino ad andare oltre. Ci sono altre minoranze russe “da proteggere” sia in Lettonia che in Estonia. Entrambe sono membri della Nato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49