Il fascino discreto di Mister Putin

Si scrive, anche su “L’Opinione”, di quanto Putin piaccia alle destre. È così? Può darsi. Nella cosmogonia della destra italiana, in particolare, c’è stato sempre spazio per il mito dell’uomo forte. L’attrazione che il Fascismo esercitò sulla gran parte della popolazione italiana, era connessa alla figura dell’“uomo forte” al comando, molto più di quanto avessero realmente inciso le idee guida dell’ideologia fascista. Bettino Craxi si tende a ricordarlo per la vicenda di Sigonella invece che per le estenuanti “guerre di movimento” ingaggiate, per oltre un decennio, con i suoi alleati di Governo. E cosa si dice oggi di Renzi? Le vecchie volpi della comunicazione preferiscono porre l’accento sulla novità del personaggio, per non dover pronunciare l’aggettivo che hanno in punta di lingua: forte.

Putin incarna, sebbene in una versione adattata alla odierna realtà, l’archetipo del “Re del Mondo” della tradizione nelle cui mani si riassume una sorta di potere pontificale, che fonde l’elemento della Pace con il principio di Giustizia. Il leader russo, per molti versi, si presenta agli occhi delle correnti iniziatiche che hanno profondamente irrorato il campo del Pensiero occidentale, pre e post-illuminista, come una figura polare, un centro intorno al quale ruota un mondo. È la mitologia del “defensor civitatis”, tornato a vivere nel nostro tempo storico, per sostenere la conservazione di valori tradizionali altrimenti attaccabili da una modernità massificante e nichilista.

In realtà, ciò che fa breccia nel cuore degli uomini e delle donne di destra è proprio l’orgoglio che il leader mostra nel dichiararsi portatore di princìpi non negoziabili come nessun altro leader del nostro emisfero oserebbe fare. Putin non è simpatico, e non credo faccia alcunché per esserlo. Ha il suo mondo nel quale trovano posto, con pari dignità, l’esaltazione della forza fisica, l’accentuata caratterizzazione di genere, la passione per la natura e la ricerca della bellezza nella Creazione. Vi è in lui una religiosità a tratti pagana che lo lega alla terra e alla stirpe pur non relegandolo alla banalità del razzismo. Anche la fede, che sembra possedere, incrocia un principio identitario non derogabile, nel quale l’individuo Putin si sente a proprio agio.

Uno fatto così, a questo Occidente conquistato dai relativismi di tutti i tipi, imbevuto di “pensiero debole”, di fatto incamminato sulla strada postmoderna della società liquida, appare come un alieno, un reperto della preistoria venuto alla luce per effetto dello scongelamento dei ghiacci siberiani. Piace da impazzire solo a Berlusconi. E non è un caso. Nel leader nostrano albergano sentimenti di assoluta ammirazione per l’espressione concettuale della forza. Si può dire che nel pensiero politico del Cavaliere sia presente un’estetica della forza che, nel suo personale orizzonte di senso, si trasmuta in potere della decisione, secondo la declinazione schmittiana. E questa idea sarebbe probabilmente piaciuta molto al compianto Presidente Cossiga.

Ora, la comunità internazionale è alle prese con la questione ucraina. La vulgata propagandistica tende a gettare la croce addosso a Putin per la decisione assunta di proteggere militarmente gli obiettivi sensibili della forza navale russa di stanza in Crimea. Troppe cose non vengono dette per correre dietro alle disinvolte ambiguità dell’Amministrazione statunitense. Si dimentica, ad esempio, che la cacciata del premier legittimo Janukovyĉ da Kiev sia avvenuta attraverso un colpo di Stato. Si tace del ruolo platealmente provocatorio che l’Unione Europea ha avuto in questi mesi nella gestione del negoziato con l’Ucraina.

Fuori d’ipocrisia, diciamola tutta. La Ue, con la solita Germania in testa, seguita a ruota dalla Polonia e dalla Francia, ha cominciato una discutibile asta per “comprarsi” la quasi fallita Ucraina. Cos’era altrimenti l’offerta di abolire i dazi per i prodotti ucraini importati nell’area Ue e la promessa di pompare denaro per rianimare le agonizzanti casse ucraine, se non un’offerta al rialzo? La Russia è stata al gioco mettendo anch’essa sul tavolo proposte molto allettanti, quali un drastico taglio del costo per le forniture di gas (dagli attuali 400 dollari a 268,5 dollari ogni mille metri cubi) e un piano di aiuti per 15 miliardi di dollari con i quali acquistare titoli di Stato ucraini. Certo, gli “europei” ci sono rimasti male quando hanno visto sfumare l’accordo a un passo dalla firma. Avevano già preparato la festa a Vilnius per il 29 novembre scorso. Ma Janukovyĉ, dopo il rifiuto di Bruxelles a rilanciare l’offerta mettendo sul tavolo 20 miliardi di dollari (questa era l’ultima richiesta ucraina) non se l’è sentita di firmare e ha fatto marcia indietro con grande sollievo dei capi del Cremlino. Per gli “europei” un’offesa troppo grande per restare impunita.

Allora, con il conforto di Obama e del Fondo Monetario Internazionale, hanno cominciato a sventolare i bigliettoni e, quel che è peggio, a far passare l’idea di essere pronti a tutto pur di sostenere la rottura tra Kiev e lo storico alleato russo. La situazione ha preso una brutta piega perché da fatto strategico-commerciale, sta rischiando di trasformarsi in questione di principio. E, come la storia insegna, le questioni di principio fanno precipitare l’umanità in pericolosi precipizi. In una recente intervista, Putin ha dichiarato che non intende portare fino in fondo lo scontro ma, allo stesso tempo, non può accettare che un potere legittimo venga rovesciato in modo illegale da frange neonaziste e, attenti bene, antisemite, che si sono infiltrate nel legittimo movimento di protesta dei cittadini ucraini.

Per quanto riguarda la Crimea e la parte est dell’Ucraina, Putin ha ribadito che la protezione dei cittadini di tradizione russofona è una priorità, cioè per il leader del Cremlino essa rappresenta un valore non negoziabile. Ciò dovrebbe spingere le forze occidentali a desistere da ogni forma di provocazione contro la Russia. Sarebbe opportuno, ad esempio, che la Commissione Europea prendesse chiara posizione contro il provvedimento ritorsivo anti-russo, appena adottato dal nuovo governo ucraino, che abolisce il bilinguismo sul proprio territorio.

In concreto, ci si può anche scannare al tavolo delle trattattive per fatti commerciali, ma è necessario evitare di metterla sul piano dei principi e dell’etica. In primo luogo perché di etico in questa storia non c’è proprio niente. In secondo luogo perché potrebbe spingere il gigante russo verso una contrapposizione frontale che finirebbe con il far deflagare un conflitto bellico di proporzioni inimmaginabili. Tra pochi mesi ci toccherà ricordare il centenario dallo scoppio della Prima guerra mondiale. Sarebbe consigliabile di evitare di celebrarlo con un revival.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:51