“Chavez e Maduro hanno fatto della lotta alla disuguaglianza sociale la loro bandiera, ma la realtà è che non hanno fatto altro che fomentare in Venezuela l’odio di classe. Un odio che preesisteva a Chavez, ma che è cresciuto con la corsa verso il socialismo”.
L’avvocato Gerardo Ulloa, 32 anni, è professore universitario di Maracaibo, nello stato di Zulia, in Venezuela. Alcuni anni fa, grazie ad una borsa di studio del Governo italiano, Ulloa ha ottenuto il diploma di specialista in Diritto civile all’Università degli Studi di Camerino. Ma il giovane avvocato è anche uno tra le migliaia di venezuelani, soprattutto giovani e giovanissimi che, dal 4 febbraio scorso, sono scesi in piazza per protestare contro il governo di Nicolàs Maduro Moro, l’ex sindacalista che ha raccolto il testimone di Hugo Chàvez alla guida della Repubblica Bolivariana, proseguendo la politica di rincorsa del Paese al modello cubano di socialismo reale.
Avvocato Ulloa, come spiega quello che sta succedendo in Venezuela?
Non è un compito facile. Sono molti, infatti, i fattori che hanno portato a questa situazione. E occorre prima di tutto fare un passo indietro.
Si spieghi.
La popolazione venezuelana è suddivisa in cinque classi sociali, in base alle diverse condizioni economiche. Alle prime due appartengono le persone benestanti del Paese, in gran parte imprenditori, e rappresentano circa il 5% della popolazione. La terza (15%) è rappresentata dalla cosiddetta classe media, che comprende lavoratori che hanno una casa propria e possono permettersi di acquistare beni di consumo. Al quarto strato, invece, appartengono quei lavoratori considerati poveri (38%), ma che hanno una casa e con i loro bilanci coprono principalmente le spese per l’alimentazione. Lo strato più rappresentativo della società venezuelana, però, è proprio l’ultimo, che copre il 42% della popolazione complessiva, ed è composto da persone quasi totalmente prive di mezzi di sostentamento che vivono in ranchos, poco più che baracche di fortuna costruite con materiali di recupero, spesso recuperati tra i rifiuti. In quindici anni di governo “socialista”, le politiche pubbliche dello Stato sono state indirizzate ad offrire benefici agli strati sociali più bassi, benefici che sono stati possibili grazie all’alto prezzo del petrolio. Ma l’alto grado di corruzione e l’inadeguatezza delle politiche messe in campo non hanno apportato alcun tipo di miglioramento alle condizioni di vita dei ceti più poveri. D’altra parte bisogna ricordare che il Venezuela ha destinato gran parte dei proventi derivati dal petrolio all’aiuto dei Paesi della regione, principalmente Cuba. In sostanza, le politiche pubbliche di aiuto alle classi sociali disagiate (che rappresentano complessivamente l’80% della popolazione), l’aiuto a Paesi stranieri e gli errori in campo economico, come il controllo della valuta estera o i sussidi per calmierare il prezzo della benzina, hanno portato ad una prolungata crisi che, sommata all’aumento del narcotraffico, ha fatto crescere la criminalità nel Paese.
Da qui, la protesta di piazza. Ma cosa l’ha scatenata?
I primi giorni di febbraio un gruppo di politici, il cui principale rappresentante è Leopoldo Lopez, ha invitato i venezuelani a protestare pacificamente, anche attraverso i social network, con l’hashtag #LaSalida (l’Uscita). L’appello è stato quindi raccolto dal movimento studentesco, fortemente rappresentato in tutte le città del Paese. Una protesta universitaria nello Stato di Tachira, a San Cristobal, ha portato all’arresto di giovani studenti. Da lì, nel giro di pochi giorni, le manifestazioni si sono diffuse in tutte le città del Venezuela. Il 12 febbraio, in cui si commemora la “Giornata della gioventù”, sono state inscenate grandi proteste intorno alle università. A Caracas sono morte tre persone, tra cui due studenti, come risultato dell’attacco da parte delle forze di polizia. Alcuni strutture pubbliche sono state prese d’assalto.
Qual è stata la risposta del governo?
È stato proprio dopo i fatti di Caracas che il governo nazionale ha accusato Leopoldo Lopez della morte dei giovani e i danni ai beni pubblici. Il 18 febbraio Lopez si è consegnato alla polizia in mezzo a una folla di gente che l’accompagnava in piazza. Da quel momento in poi sono morti altri 10 manifestanti (la conta ufficiale, ferma al 28 febbraio, parla di 17 morti e 261 feriti accertati, cui hanno fatto seguito 27 inchieste per presunte violazioni dei diritti dell’uomo da parte della Procura generale venezuelana, ndr). Ma non è tutto. Alcuni dei manifestanti detenuti dalla polizia dall’esercito hanno denunciato violazioni dei diritti umani: sostengono di essere stati torturati con l’elettricità, e alcuni addirittura di essere stati stuprati da soldati e poliziotti con le armi d’ordinanza. Per strada girano anche gruppi armati paramilitari equipaggiati dal governo e protetti dall’esercito, ed è proprio a questi che vengono imputate le uccisioni degli studenti.
La stampa nazionale come sta affrontando la protesta?
Tutto quello che succede in Venezuela lo sappiamo grazie ai social network, principalmente Twitter, e al canale in spagnolo della Cnn, perché il governo ha vietato alle televisioni di documentare quello che sta accadendo.
Ci sono altre motivazioni dietro la mobilitazione dei cittadini?
Ci sono altre motivazioni importanti, come la criminalità, il blackout dell’informazione e il rifiuto di buona parte della popolazione di proseguire la politica di allineamento del Paese al modello cubano.
Qual è adesso la situazione nella sua città? E nel resto del Paese?
A Maracaibo si sono verificate situazioni critiche ma non così gravi come a Caracas, San Cristobal e Valencia. Da qualche giorno i manifestanti hanno cominciato a fare guarimbas, ovvero erigere barricate in strada con rifiuti per impedire il transito dei veicoli. La guarimba deve essere eretta vicino alla propria abitazione (al massimo a 50 metri, secondo le istruzioni che vengono diffuse attraverso i video su YouTube), in modo che all’arrivo della la polizia le persone possano rientrare rapidamente in casa per scampare all’arresto. La tattica della guarimba prevede infatti che chi la realizza eviti il più possibile qualsiasi confronto con le forze dell’ordine, tantomeno uno scontro diretto. L’obiettivo finale, infatti, è principalmente quello di sottrarre al Governo il controllo delle strade.
E sta funzionando?
A causa delle guarimbas, molte strade non sono più transitabili e interi vicinati si organizzano via Twitter per creare le barricate sin dalle 5 del mattino. Molti negozi sono chiusi, il trasporto pubblico funziona molto poco, le scuole sono state chiuse per ordine del ministero dell’Educazione giorni fa. Le università sono chiuse sin dai primi giorni e gli stessi studenti sono stati in prima fila nel chiedere la chiusura degli atenei. Qualche giorno fa una delle università ha deciso di riprendere le lezioni e da allora studenti e cittadini hanno iniziato a fare las guarimbas impedendo, di fatto, la ripresa delle lezioni, anche se l’esercito è uscito a proteggere le vie di accesso all’università. Per quanto riguarda il livello di sicurezza, bisogna sottolineare che qui a Maracaibo gruppi armati filo-governativi hanno organizzato diverse ronde di motociclisti armati che girano per la città, ma questo non ha impedito che si siano verificati molti furti. Nel resto del Paese le manifestazioni continuano: principalmente a Caracas, Valencia e San Cristobal. La situazione a Caracas, in particolare, è molto critica: un’amica che vive nella capitale mi ha raccontato che la polizia, quando sente provenire da qualche casa slogan di protesta, apre il fuoco contro il palazzo dai quali provengono. San Cristobal, la città dove la protesta è scoppiata, è stata militarizzata come annunciato da Maduro. Secondo quanto sappiamo da Twitter, lì ci sono grossi problemi con le comunicazioni telefoniche e via Internet. A Valencia, sotto i colpi dei militari, sono morti diversi studenti.
Sta partecipando alle manifestazioni di piazza?
Ho partecipato a una marcha per le strade del centro di Maracaibo, terminata al Palazzo di Giustizia, dove abbiamo consegnato la richiesta di liberazione degli studenti detenuti durante le proteste. È stata la prima volta che ho preso parte ad una manifestazione è sono rimasto profondamente colpito dai fiumi di persone che hanno riempito le strade.
Crede che il governo abbia intenzione di ascoltare le ragioni dei manifestanti?
Finora non ne ha mostrata alcuna: ci sono state molti appelli al dialogo, ma allo stesso tempo il Governo ha attaccato duramente gli studenti e i partiti di opposizione.
Maduro ha accusato i manifestanti di essere “fascisti” e di essere sostenuti dai “governi stranieri”. Cosa pensa di queste affermazioni?
Non credo proprio che i manifestanti possano essere accostati all’ideologia fascista o a qualche posizione politica similare. Il “movimento degli studenti” è composto da persone che provengono di tutti gli strati sociali, e appartengono alle più svariate tendenze politiche. La stessa propaganda di governo non ha potuto ridisegnare questa realtà, tanto più che ci si riferisce ai manifestanti come agli “studenti”. Per quanto riguarda la seconda accusa, già con il governo Chavez, e adesso con quello di Maduro, in tutte le situazioni difficili si è cercato di giustificare ciò che accade incolpando qualcun’altro senza assumersene la responsabilità diretta. D’altra parte, l’esecutivo ha bisogno di tenere vivo il sentimento antiamericano, molto diffuso nella sinistra venezuelana.
Le proteste possono portare a nuove elezioni e a un nuovo governo?
In Venezuela i cittadini hanno il diritto a chiedere le dimissioni di un funzionario pubblico. Credo che ancora manchino parecchi tasselli da sommare alle proteste di piazza, ma nel momento in cui tutti questi fattori si dovessero aggiungere e se la stabilità del Paese fosse compromessa, mi auguro che il Governo sia in grado di prenderne atto e permetta un nuovo esecutivo che sia rappresentativo non di un solo segmento del Paese, ma di tutto il Venezuela.
Teme che le proteste possano sfociare in risultati estremi, come una repressione ancora più sanguinosa o un colpo di Stato?
Sì, ho il forte timore che questo possa succedere. Questa protesta è nata in forma spontanea, è in atto da più di tre settimane e nessuno prima avrebbe potuto immaginare che potesse accadere. Oggi è una protesta senza un leader, senza un partito politico di riferimento, nel caso di Maracaibo le manifestazioni vengono organizzate e rese note attraverso Twitter, e quelle che hanno più consenso vengono realizzate. Mi auguro che i valori e princìpi del popolo venezuelano scongiurino la degenerazione con esiti estremi di una protesta così pacifica e civile.
Cosa si augura per il futuro del Paese?
Spero il Venezuela possa avere un governo in grado di mettere in atto politiche concrete di aiuto allo sviluppo della società. Il Venezuela è un Paese ricco in risorse naturali, e mi piacerebbe che queste risorse fossero usate per il benessere della popolazione e non per soddisfare le mire di piccoli gruppi di potere o per sostenere Paesi stranieri. Per quanto riguarda il mio futuro, invece, spero di continuare ad esercitare la mia professione in Venezuela e soprattutto di continuare ad insegnare all’Università: vorrei poter insegnare ai giovani concetti come il “dovere essere”, “lo Stato di Diritto”, “la Giustizia”, senza che sembrino cose applicabili solo ad altri Paesi.
Pensa che la Comunità Internazionale stia facendo abbastanza?
Purtroppo è rimasta muta. Credo si debba condannare la violenza usata contro i manifestanti, e l’uso della giustizia per criminalizzare le proteste e chiedere la liberazione dei detenuti politici. Inoltre, i casi di violazioni dei diritti umani dovrebbero essere portati all’attenzione degli organismi internazionali competenti. Ho studiato diversi anni in Italia, e se potessi rivolgermi agli italiani chiederei loro aiuto per portare a conoscenza dell’opinione pubblica quello che sta accadendo in Venezuela. Credo che ragioni economiche e l’ispirazione “socialista” (peraltro disattesa) del governo venezuelano abbiano condizionato il silenzio dei governi degli altri Paesi. Quella che stiamo vivendo, però, è una situazione che merita una ferma condanna a livello internazionale.
Un’ultima domanda. Dall’altra parte del mondo, in Ucraina, un’altra grande protesta popolare rischia di sfociare in una guerra civile. Ci sono dei parallelismi con quello che sta accadendo in Venezuela?
Credo che la principale differenza stia nei due gruppi che si confrontano: in Ucraina si confrontano secondo la base della regione di origine, tra filoeuropei e filorussi. In Venezuela possiamo parlare invece di due parti della società, a prescindere dalla provenienza geografica. In comune, abbiamo l’intervento di Paesi stranieri a sostegno del governo: in Ucraina, la Russia, e in Venezuela, Cuba. E anche l’uso della forza contro i manifestanti.
Tratto da Rightnation
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45