Non svegliare il can che dorme

La sola domanda che conta in queste ore è la seguente: l’Italia intende o no rompere con la Russia sulla questione Ucraina? Ci aspettiamo che il premier ci dia una risposta secca: sì o no. In certe questioni, e la politica estera di una nazione è fra queste, le parole valgono niente, i fatti regnano sovrani.

Ora, è un fatto che la Russia abbia deciso di sfruttare la congiuntura favorevole, fornitagli dall’irrazionale sviluppo della crisi politica dell’Ucraina, per chiudere un conto aperto con l’Occidente non da anni ma da secoli, almeno dai tempi della guerra di Crimea del 1853. L’obiettivo dei regnanti a Mosca, zar o non zar, ha riguardato la posizione strategica della penisola adagiata nel Mar Nero. Lo sapevano gli inglesi e i francesi che hanno combattuto sotto i bastioni di Sebastopoli, trascinandosi dietro anche un corpo di spedizione sardo-piemontese. Dai nostri ricordi adolescenziali riemergono le sagome dei bersaglieri del generale La Marmora, immortalati nel corpo-a-corpo della Cernaia. Se ne sono accorti gli americani quando hanno fotografato in tutte le pose la mitica “flotta del Mar Nero”, all’ancora nelle acque della penisola, dove oggi rimane collocata. Ne sono consapevoli i russi che da quel promontorio sorvegliano tanto il grande bacino del Mediterraneo quanto quello più piccolo, ma altrettanto strategico, del mare d’Azov.

La Crimea, per volontà di Nikita Krusciov, nel 1954, venne formalmente annessa alla Repubblica Sovietica di Ucraina. La decisione rispondeva a una logica di potere molto raffinata: tenere un po’ di Russia in tutte le altre entità nazionali dell’Impero sovietico. Resta il fatto che la Crimea sia abitata, in maggioranza, da una popolazione russofona che si sente in totale sintonia con Mosca. È di tutta evidenza che, fin quando l’Ucraina fosse rimasta integralmente nella sfera d’influenza russa nulla sarebbe cambiato, in termini di assetti geopolitici. Ma l’esplosione di violenza di questi giorni, che ha portato allo scoperto il piano della parte filoccidentale del Paese di prendere le distanze dall’alleato storico, ha determinato nei vertici del Cremlino la necessità di mettere in sicurezza quella parte di territorio dove è maggiore la concentrazione dei propri interessi. Da qui la decisione di procedere a un controllo armato degli obiettivi sensibili nel perimetro territoriale della Crimea.

Naturalmente, ai nostri occhi di europei dalla memoria selettiva, tutto ciò appare come qualcosa di inaccettabile. Peccato che la realtà ci racconti una storia diversa. Tra qualche giorno gli abitanti della Crimea saranno chiamati a un referendum per l’autodeterminazione. Quando il mondo scoprirà che è volontà della stragrande maggioranza di quel popolo separarsi dall’Ucraina per ricongiungersi con la terra dei loro padri, la situazione apparirà completamente rovesciata. E la presenza di truppe russe acquisterà ben diverso significato. Si dirà che i soldati dell’ex armata rossa sono lì per difendere il legittimo diritto del popolo di Crimea all’autodeterminazione. D’altro canto Mosca non è nuova a questo tipo di soluzioni. Anche nel 2008, nella vicenda dell’attacco georgiano alle due enclavi russofone dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia, le truppe inviate da Mosca, che già erano impegnate nell’area come forze d’interposizione, furono comandate di impartire una dura lezione agli ex sodali georgiani. I carri armati russi invasero l’intero territorio della Georgia, fino a giungere alle porte della capitale Tbilisi. Soltanto la mediazione di alcuni capi di Stato occidentali, tra cui il nostro Berlusconi, convinse le autorità di Mosca a lasciare il territorio georgiano. In cambio, però, esse ottennero la dichiarazione d’indipendenza dell’Ossezia del sud e dell’Abcasia e la contestuale sottoscrizione, da parte delle neonate repubbliche, di un’alleanza militare con la Madre Russia.

È dunque presumibile che anche la vicenda Ucraina volga verso un’analoga conclusione. Il nuovo governo di Kiev deve mettere in conto, per evitare di essere travolta dalle armi russe, di perdere la Crimea. Una volta posto questo punto fermo, si avvierà un negioziato dal quale possa venir fuori la nuova Ucraina, non più totalmente assoggettata alla politica di Mosca, ma tenuta a un comportamento che non ne pregiudichi gli interessi. Qualcuno potrà anche credere che tutto ciò sia eticamente riprovevole, ma la politica internazionale è fatta di rapporti di forza, non di chiacchiere. E poi quante storie! Soprattutto appaiono ridicole le manifestazioni di sdegno dell’amministrazione Usa per il comportamento di Putin. Forse Obama ha scordato come si comportarono gli americani, nel 1983, con l’invasione della piccola isola caraibica di Grenada? In quella circostanza il solo sospetto che la costruzione di un aeroporto, decisa dal locale governicchio da repubblica delle banane, potesse servire gli interessi strategici sovietici e della vicina Cuba di Fidel Castro, fece scattare la furiosa reazione di Washington. Anche allora la comunità internazionale strepitò per qualche giorno, ma gli americani tirarono dritto.

Tornando all’Ucraina, i primi a sapere di non farcela a sostenere uno scontro diretto contro i propri maggiori creditori sono i nuovi leader che stanno a Kiev. Sanno che il Paese è indebitato fino al collo con tutti. Lo sanno bene i mercati finanziari che in queste ore stanno aprendo con forti ribassi. E lo sappiamo bene anche noi italiani, che quando sei così carico di debiti non è che puoi fare tanto la voce grossa con gli altri. Quindi, è necessario che la situazione si stabilizzi per incominciare il negoziato. È indispensabile, in questi delicati momenti, non provocare oltre il gigante russo che potrebbe decidere di reagire proseguendo la sua marcia di occupazione oltre i confini della Crimea. È compito delle potenze occidentali mostrare sangue freddo e non soffiare sul fuoco della crisi assumendo ridicoli, quanto pericolosi, atteggiamenti da “arrivano i nostri”.

Ci auguriamo che il Governo italiano, che è apparso da subito totalmente impreparato a gestire la situazione, usi prudenza e non si faccia trascinare dall’insensatezza della politica estera americana. Ricordi il Governo che, all’interno delle nostre frontiere, è presente una nutrita comunità ucraina. C’è già bastato quello che Obama e soci hanno combinato in Libia che ancora paghiamo il conto della follia, tutta loro, di puntare sulla riuscita delle “primavere arabe”. Ora il nostro alleato d’oltreoceano sta lavorando all’ultima genialata: fare fuori, per rappresaglia, la Russia dal G8. Ma che idiozia sarebbe? Questa volta cerchiamo di non precipitarci a dire “obbedisco”. Sono in gioco i rapporti bilaterali con la Russia che proprio non possiamo permetterci il lusso di compromettere. È sufficiente che i nuovi ministri si vadano a guardare un po’ di dati sul volume dell’interscambio commmerciale tra i nostri due Paesi.

Forse sarebbe opportuno, è un consiglio, che Renzi richiamasse in servizio la dottoressa Marta Dassù, già viceministro agli Esteri all’epoca del Governo Letta che, dall’alto della sua esperienza, possa dare una mano all’inesperta giovane ministra Federica Mogherini (nella foto): la ragazza che fece l’Erasmus. Magari potrebbe spiegarle tutto il lavoro fatto sui dossier e gli accordi firmati nel corso dell’ultimo vertice intergovernativo italo-russo, tenutosi a Trieste lo scorso 26 novembre. È tempo, questo, di cautela. Non di menate di testa. Caro Renzi, si faccia servire una camomilla e non commetta sciocchezze.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47