I love this game, italiani a canestro

All’inizio del 1986 gli Americani, sempre alla ricerca di nuovi modi per misurare la concorrenza nello sport, si inventarono una gara per i migliori tiratori da tre della Nba, il “Three Point Shootout”. Nell’ambito dell’All- Star Game week, i migliori tiratori si sfidavano con alcune serie di tiri da fuori la lunetta, con poco tempo a disposizione e quindi sotto pressione. I primi tre anni li vinse di seguito una leggenda del basket americano, Larry Bird. Da allora, salvo tre annate, la gara è sempre stata dominata da cestisti americani: la Nba è il campionato di basket per eccellenza, dove i più forti giocatori al mondo competono tra di loro.

Negli stessi giorni della prima vittoria di Larry Bird del 1986, a San Giovanni in Persiceto in provincia di Bologna nasceva colui che ha vinto la gara quest’anno: per la prima volta, il campione è un italiano: Marco Belinelli. Indossando la maglia della sua squadra, i San Antonio Spurs, Marco ha disintegrato il suo avversario. Belinelli è il più in forma dei quattro italiani tesserati in Nba. Di essi, uno è infortunato, da tempo: Danilo Gallinari si è rotto i legamenti del ginocchio giocando per i suoi Denver Nuggets, e la sua riabilitazione è stata molto complicata. Gli altri due giocatori italiani sono Andrea Bargnani, che ora non gioca per un problema al gomito e che ha alternato quest’anno buone prestazioni ad altre non al suo livello, e gioca per i New York Knicks; e Luigi “Gigi” Datome, al suo primo anno ai Detroit Pistons.

Insomma, la star italiana in Nba è Belinelli, che oltre allo shootout è stato anche in testa, con una pazzesca percentuale di più del 50% di canestri, alla classifica dei tiratori da tre punti che si aggiorna ad ogni turno (in questo momento è quarto). Belinelli non è nuovo in Nba, ci gioca dal 2007: prima con i Golden State Warriors (giocano a Oakland, in California), poi con i Toronto Raptors (Toronto è in Canada ma è parte della Nba, per decisione del comitato all’epoca guidato da un grande italoamericano dello sport, Jerry Colangelo, già protagonista di una delle nostre interviste), poi a New Orleans con gli Hornets e poi con i mitici Chicago Bulls. Dal 2013 è a San Antonio, Texas, dove sembra aver trovato un magnifico ritmo ed è un punto fermo della squadra, che è una delle più interessanti e divertenti di questa stagione, già finalisti lo scorso anno (quando però Marco era a Chicago). Belinelli ovviamente fa parte della nazionale italiana di pallacanestro. Abbiamo il piacere di scambiare con lui due veloci battute, in quello che è l’anno che lo ha consacrato ai livelli di massima eccellenza mondiale dello sport che ama. Un altro esempio di successo quando si incontrano Italia e Stati Uniti.

Marco, questa finora è la tua migliore stagione in Nba. Come descriveresti l’esperienza che stai vivendo da professionista italiano protagonista di primo piano nel campionato più prestigioso al mondo per quanto riguarda il tuo sport?

Sto facendo quello che amo e che sogno fin da quando sono bambino. Mi sento molto fortunato, ma so che ho lavorato tanto per arrivare fino a qui e sto lavorando ancora per migliorare ogni giorno.

Ti chiediamo di descriverci la differenza che dal tuo punto di vista percepisci nel mondo dello sport (inteso in tutti i sensi: giocatori, società, media, tifosi) tra Stati Uniti e Italia.

E’ completamente diverso. In Nba i giocatori sono responsabili per se stessi. Non esistono raduni o ritiri. Siamo solo tenuti a rispettare gli orari e gli appuntamenti, poi sta alla professionalità di ognuno. Il pubblico che assiste alle partite partecipa ad una festa: difficilmente c’è tifo contro. Si va per assistere ad uno spettacolo.

Tu giochi a San Antonio, Texas: non è la tipica grande città americana che, dopo aver accolto milioni di emigrati europei, porta i segni dell’influenza del nostro continente. Cosa ti colpisce di più dell’America del sud che oggi ti ospita?

San Antonio è una piccola cittadina che ha una forte influenza messicana. Non ha nulla a che fare con l’Italia, non riesco a fare paragoni. Ma ho vissuto in tante città: San Francisco, Toronto, New Orleans, Chicago. Ognuna di loro è molto diversa dall’altra, ma nessuna è paragonabile all’Italia, per nessun aspetto.

In passato lo sport ha costituito un grande punto di svolta nella percezione che gli americani avevano degli italiani emigrati negli Usa. I primi campioni di origine italiana furono tra gli artefici di un riscatto importantissimo sotto ogni punto di vista. Tu non sei italoamericano, la tua situazione è diversa: ma capita anche a te di sentire più grande l’affetto degli italiani d’America, oppure le cose sono ormai cambiate?

Quando sono in campo, gli italiani si fanno sempre sentire con grande affetto, fa piacere. Ma col passare degli anni mi rendo conto di essere apprezzato indipendentemente dall’appartenenza e dalla nazionalità.

Secondo te, quale idea hanno gli americani dello sport italiano?

Gli Americani sanno che in Italia c’è il calcio. Credo che conoscano poco altro, riguardo allo sport italiano.

Cosa vorresti riportare qui in Italia dalla tua esperienza americana, quando e se tornerai qui per continuare la tua carriera, o magari per allenare?

Vorrei riportare in Italia la concentrazione e l’organizzazione che c’è qui, e che da noi a volte manca.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47