A.N.P., stipendio fisso per gli atti terroristici

Lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto sapendo di dire la verità. Ora finalmente possiamo mostrare le prove sull’utilizzo che le autorità palestinesi fanno del denaro pubblico: esse sostengono economicamente i loro compatrioti detenuti per reati di terrorismo compiuti contro la sicurezza di Israele.

Quando abbiamo messo in discussione la gestione a dir poco opaca delle risorse europee destinate all’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), come pure abbiamo dubitato della vera natura di quello strano assegno da 60 milioni di euro staccato dal Governo italiano, lo scorso anno, sempre a beneficio della Anp, siamo stati ricoperti di insulti. Pazienza! Ci sta anche questo, quando si ha l’ardire di porre domande scomode. È di gran lunga più facile accusarci di offendere “l’onore del glorioso popolo palestinese”, piuttosto che prendersi il disturbo di spiegare come stia realmente la questione della gestione degli aiuti finanziari che da tutte le parti del mondo sorvolano le teste dello sventurato popolo palestinese, per atterrare nella tasche dei suoi ambigui dirigenti politici. Ma veniamo ai fatti.

Sull’edizione del Times of Israel dello scorso 16 febbraio, è apparso un rapporto della polizia israeliana che raccoglieva la deposizione di Husni Najjar, terrorista palestinese già condannato per aver attentato alla sicurezza d’Israele. Nella deposizione, Najjar confessava di aver progettato un secondo atto terroristico col fine, una volta scoperto e incarcerato, di ricevere dall’Autorità Palestinese uno stipendio fisso. In realtà la sconvolgente dichiarazione era già apparsa alcuni mesi prima sul Palestinian Media Watch. In quella circostanza, Najjar era stato ancora più esplicito: “A causa della mia difficile situazione finanziaria ho deciso di inventarmi un piano per essere arrestato e beccarmi una condanna a più di cinque anni, perché in questo modo avrei ricevuto uno stipendio fisso dall’Autorità Palestinese che mi avrebbe permesso di pagare i miei debiti e coprire le spese per il mio matrimonio”. Najjar ha proseguito dicendo di aver ricevuto per il primo periodo di detenzione 45mila shekel (9.400 euro), ma sperava, con la seconda iniziativa criminale, di farci su almeno altri 135mila shekel (28mila euro). La cosa folle è che il secondo piano terroristico di Najjar era finto, era solo una tragicomica messa in scena che aveva come unico scopo quello di farsi arrestare dallo Shabak (il servizio di sicurezza generale israeliano). La detenzione avrebbe fatto scattare la solidarietà economica del ministero dell’Anp per gli Affari dei detenuti palestinesi.

Come ha rivelato Najjar, il bizzarro welfare state dell’Autorità palestinese funziona così: se hai sparso sangue innocente israeliano, hai diritto al sostegno pubblico con un’indennità mensile di 4mila shekel (830 euro) per l’intero periodo di detenzione e poi a una sorta di salario di reinserimento di pari importo per i successivi tre anni dalla fine della carcerazione. Mi domando come vengano appostate queste spese nel bilancio dell’Anp: oneri sociali o incentivi al terrorismo? D’altro canto i dirigenti dell’Autorità Nazionale Palestinese, che sfruttano la disperazione della povera gente per stimolare l’azione terroristica contro una popolazione civile innocente, non sono poi così originali come vorrebbero far credere. Il sistema della protezione sociale ai detenuti appartententi alle associazioni malavitose è un modello in uso dalle nostre parti da tempo immemore, perché è quello praticato dall’organizzazione camorristica per assicurarsi la fedeltà della propria manovalanza.

Da sempre, e tutte le indagini criminolgiche lo spiegano, la prima voce di costo per la struttura criminale, dopo il pagamento della materia prima, è il mantenimento delle famiglie dei propri gregari detenuti. Già! Perché anche la camorra ha sempre avuto la sua Inps per l’assistenza sociale delle famiglie dell’anti-Stato, che ha funzionato e funziona molto meglio di quella ufficiale che fa capo allo Stato. Ma bando all’ironia, perché da queste rivelazioni non emerge nulla che possa indurre a scherzarci sopra. La questione è davvero seria e preoccupante. Il signor Najjar nel rivelare che esiste una specie di programma che potremmo chiamare “Money for blood”, ci pone di fronte a due certezze, entrambe che contrastano l’impianto etico-valoriale della civiltà Occidentale. La prima riguarda lo scarso senso di lealtà che la componente palestinese mostra nel perseverare in un atteggiamento ambiguo rispetto alla domanda di chiarezza nella volontà di portare in fondo il negoziato di pace con Israele. È di tutta evidenza che incentivare la propria popolazione a compiere crimini contro gli “irriducibili nemici”, blandendola attraverso la speranza alimentata in ogni palestinese frustrato dal bisogno di conquistare un reddito, stride con qualsiasi dichiarazione pacificatrice che convinca della buona fede dei leader palestinesi nel dirsi disponibili a riconoscere, mediante un accordo, il diritto all’esistenza dello Stato ebraico.

La seconda riguarda la sostenibilità finanziaria di questo modello assistenziale. Sebbene sia del tutto comprensibile che l’Anp abbia il diritto sovrano di foraggiare la propria popolazione nel modo che ritenga più appropriato, per quanto questo modo ci possa apparire disgustoso e malvagio, tuttavia, per evitare che esso si trasformi in arbitrio, è indispensabile che il diritto medesimo sia temperato dal consenso dei contributori esterni circa l’utilizzo delle risorse concesse. Questo è il caso dell’Unione Europea che eroga fondi consistenti all’Anp. Ma i palestinesi non la intendono così; non amano essere sindacati nel loro disinvolto impiego delle risorse finanziarie. Eppure quei denari tanto generosamente, e improvvidamente, elargiti dalle autorità di Bruxelles all’Anp sono anche soldi italiani, visto quanto ci costa contribuire a tenere su il baraccone europeo.

Ora, non so voi, ma per quel che ci riguarda non abbiamo autorizzato i nostri governanti e men che meno i burocrati dell’Ue a dissipare le nostre risorse finanziando assassini e stragisti. È uno scandalo che questa Europa vecchia e marcescente, malata cronica di antisemitismo, possa ancora oggi pensare di pagare qualcuno perché continui a fare fuori gli ebrei. Non sono bastati quelli già liquidati nei campi di sterminio?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46