Alla fine l’Ucraina si è spaccata in due

Quando una rivolta diventa una guerra civile? In Ucraina, a sorpresa, proprio quando la situazione pareva calmarsi, è scoppiato all’improvviso il più grande scontro fra la polizia e i manifestanti del Maidan, la Piazza dell’Indipendenza di Kiev, dove sono barricati dall’ultima decade di novembre. La polizia ha cercato di sfondare le barricate, anche usando mezzi blindati. La reazione è stata violenta: molotov, sassi, fuochi d’artificio lanciati ad alzo zero. I morti lasciati sul terreno da entrambe le parti sono 26, secondo il governo ucraino, 9 dei quali sono poliziotti e uno è un giornalista russo rimasto colpito a morte fra i due fuochi.

Inutile dire che le versioni su quanto è accaduto nella notte fra il 18 e il 19 febbraio sono opposte. Il presidente Viktor Yanukovich ritiene di essere vittima di un tentativo di colpo di Stato e dunque deve proteggere la popolazione da gruppi “estremisti di estrema destra”. Ritiene di aver risposto a tutte le risposte pacifiche dell’opposizione: ha licenziato il governo di Mykola Azarov, ha offerto l’esecutivo ai leader dell’opposizione, ha prima imposto leggi draconiane contro la libertà di manifestare, ma poi le ha ritirate quando è iniziata l’ultima escalation. Infine, sabato scorso, aveva concesso amnistia e scarcerazione degli oppositori. Insomma, ha cercato di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per scongiurare lo scontro armato e ora si ritiene parte lesa. È sostenuto anche dalla vicina Russia, che accetta la sua tesi del tentato golpe e si appella all’Unione Europea per far calmare i leader dell’opposizione.

Dall’altra parte, gli oppositori democratici al post-sovietico Yanukovich, ribattono punto per punto alle sue tesi. Il governo è stato offerto all’opposizione, ma solo per imbrigliarla nell’accordo, già concluso con la Russia, dunque solo per screditarla agli occhi della popolazione. Le leggi anti-manifestazione non sono, in realtà, mai state ritirate, come dimostra la violenza usata dai Berkut (teste di cuoio) negli scontri dell’altra notte. L’amnistia è stata concessa, ma gli oppositori arrestati sono ancora agli arresti o sotto sorveglianza. Dal canto loro, gli oppositori avevano abbandonato, quale gesto di buona volontà, la sede del comune di Kiev (occupata alla fine di novembre), ma dall’altra parte la polizia non ha tolto l’assedio alla piazza. Anzi, subito dopo, è arrivata l’intimazione di smontare le barricate e andarsene dal Maidan. Gli oppositori in piazza, insomma, si sono sentiti traditi, praticamente in trappola, e hanno reagito con la forza a un vero e proprio attacco delle forze dell’ordine. In mezzo ai due contendenti, l’Unione Europea si offre di mediare. Oggi si terrà una riunione di emergenza a Bruxelles del Consiglio dei Ministri degli Esteri. Ma ogni decisione dovrà essere presa molto in fretta, perché ci sono segnali molto inquietanti. In pratica, la rivolta di piazza si sta rapidamente trasformando in guerra civile. Tre sono i sintomi principali: l’arrivo delle truppe a Kiev, la conquista di un gran numero di armi da parte degli insorti e la secessione autoproclamata della regione di Lviv, nell’Ucraina occidentale.

A Kiev sono arrivati 500 paracadutisti della 25ma Brigata d’assalto aereo. Lo ha annunciato il ministro della Difesa Anatolyy Hrytsenko, nel primo pomeriggio. Devono presidiare basi militari e depositi di munizioni, che, nel frattempo, iniziavano ad essere saccheggiate dagli insorti. Sempre secondo fonti governative, gli oppositori si sarebbero già impossessati di circa 1.500 armi da fuoco di vario calibro. Ma il maggior sviluppo arriva, appunto, da Lviv, la città più dissidente d’Ucraina, epicentro dell’opposizione.

“Il regime – si legge nel comunicato - ha iniziato ad intraprendere un’azione militare contro il popolo. Decine di persone sono già state uccise a Kiev e altre centinaia sono state ferite. Rispettando il volere del popolo, il Comitato Esecutivo del consiglio regionale di Lviv, la Rada del Popolo, sta assumendo piena responsabilità del destino di questa regione e dei suoi cittadini”. Ora i governi ucraini sono, di fatto, due. Una secessione in piena regola, come quelle che avvennero nel 1990-91 e portarono alla dissoluzione dell’Urss. Ma su scala ridotta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52