Corea, la tardiva condanna dell’Onu

Alla buon’ora. Sono 69 anni quelli del regime nordcoreano, insediato per volontà di Stalin, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nella parte di penisola coreana che l’Armata Rossa “liberò” dai giapponesi. Fin da subito, il regime comunista, guidato dall’ex agente dell’Nkvd (futuro Kgb) Kim Il Sung, iniziò a replicare tutti i tratti peggiori della dittatura staliniana, comprese le campagne di sterminio dei contadini “ricchi”, dei presunti “nemici del popolo” e persino di tutti i loro innocenti e ignari parenti fino al terzo grado di parentela. L’arcipelago dei gulag, i plotoni di esecuzione e le fosse comuni entrarono a far parte del regime nordcoreano sin da subito. Il tentativo (fallito) di conquistare la Corea del Sud con la guerra del 1950-53, non fece che peggiorare ulteriormente il quadro: prigionieri di guerra reclutati a forza o mandati ai lavori forzati, parenti e amici di famiglie del Sud (e i loro discendenti) bollati come “traditori” e trattati come tali, un controllo da assedio perenne.

Non ricordiamo tutto questo per fare un ripasso di storia. Ma perché solo ieri, all’alba del 69esimo anno di regime, l’Onu ha finalmente condannato formalmente la Corea del Nord per crimini di guerra. Alla fine dei lavori dell’apposita commissione, istituita il 21 marzo 2013 e incaricata di indagare sui campi di lavoro (gulag) nordcoreani, risulta, da 80 testimonianze, che il regime sarebbe responsabile per “centinaia di migliaia di vittime”. Si tratta di persone direttamente assassinate dagli aguzzini, o morte di stenti, freddo e fame in condizioni di detenzione insostenibili. I racconti dell’orrore che sono emersi da questi 80 testimoni sopravvissuti sono talmente agghiaccianti che alcuni membri della commissione hanno avuto crisi di pianto e malori. Il rapporto è apparentemente molto blando. Si basa solo su dati raccolti, freschi, di prima mano. Alcune statistiche demografiche, come quelle del politologo Rudolph Rummel, parlano di un milione o anche un milione e mezzo di morti, già nel 1994, a cui si devono aggiungere quelli della “terribile marcia” (la grande carestia degli anni ‘90) e le vittime degli ultimi 20 anni di regime di Kim Jong-il e del giovane, ma ferocissimo, Kim Jong-un (nella foto), ultimo rampollo della dinastia.

Ma, per chi si occupa da decenni dell’inferno in terra nordcoreano, non si tratta di niente di realmente nuovo. La differenza è la formalità dell’accusa. Ora, come sostiene il commissario Michael Kirby, “il mondo non può far finta di non sapere”, perché non ci sono solo libri e testimonianze orali di sopravvissuti, ma anche un documento ufficiale con l’imprimatur del massimo organo sovranazionale.

Il nuovo leader Kim Jong-un, è stato avvertito: potrebbe essere ritenuto personalmente responsabile per crimini contro l’umanità. Ed esortato: fare tutto il possibile affinché questi crimini non si ripetano. In questa vicenda resta l’amaro in bocca, a causa di tre domande senza risposta. Primo, perché si sono dovuti attendere 69 anni? Negli ultimi 23 non c’era nemmeno la scusa della Guerra Fredda e di rischio di conflitto con l’Urss, grande protettrice di Kim Il Sung. Se era la Cina a far paura, allora non si spiega come mai oggi si proceda, considerando che Pechino è sempre lì a proteggere il “regno eremita”. Misteri dell’Onu. Secondo: cosa se ne farà, Kim Jong-un dell’esortazione dell’Onu a reprimere i crimini del suo regime? Qui non stiamo parlando di un governo di polizia che usa la mano dura, ma tutto sommato ha una legge che lo impedirebbe. Qui parliamo di uno Stato totalitario in cui il terrore indiscriminato è il fondamento stesso. Terzo: cosa se ne fa di un avvertimento su una possibile incriminazione? Lui è a Pyongyang, chiuso nel suo regno eremita, protetto dal suo esercito. E da qualche bomba atomica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47