Sochi, da che fonte viene il servizio?

Due sono i temi dominanti delle cronache da Sochi. A parte chi parla semplicemente di sport e del medagliere, i giornalisti inviati nella cittadina residenziale russa sul Mar Nero parlano della repressione dei gay e del gigantesco “Villaggio Potemkin” costruito per l’occasione da Putin, una vera e propria città degli splendori, ma improvvisata, talvolta mal funzionante e circondata da una delle aree più povere e disastrate dello spazio ex sovietico.

Ma la domanda fondamentale è: quanto sono liberi i giornalisti russi ed ex sovietici che mandano i reportage da quelle parti? I giornalisti occidentali sono relativamente liberi di dire quello che vogliono, non possono essere arrestati in diretta mondiale, ma già sentono, a distanza ravvicinata, lo sguardo vigile dei servizi segreti. Prova ne è che i giornalisti che si sono lamentati per il cattivo funzionamento dei servizi nei loro hotel, si sono sentiti rispondere che erano loro a tenere aperta l’acqua delle docce per troppo tempo, dunque erano loro i responsabili dei danni.

A rimproverarli è stato lo stesso vicepremier russo, Dmitri Kozak, che ha pure svelato la sua fonte: le docce sono videosorvegliate. Ed evidentemente controllate da qualcuno che riferisce direttamente al governo. Bene a sapersi: nemmeno in bagno sei da solo. Per i giornalisti russi e delle repubbliche ex sovietiche, il dramma della sorveglianza continua è ancora più drammatico, soprattutto considerando che la Russia, da prima che iniziassero le Olimpiadi, è in piena allerta terrorismo.

È di ieri la pubblicazione del nuovo rapporto di Reporters sans Frontières, da cui risulta che Federazione Russa e repubbliche ex sovietiche sono in coda alle classifiche di libertà di stampa. L’impero putiniano è addirittura scivolato giù al 148mo posto, su 180 Paesi scrutinati. Praticamente, per quanto riguarda la libertà di espressione, è un regime totalitario non dissimile dall’Urss dei tempi che furono. “Il 2013 – si legge nel rapporto – è stato contrassegnato da una sequenza di leggi repressive, che hanno ristretto l'ambito della libera informazione al minimo. Per esempio, i valori tradizionali sono usati per giustificare nuove censure, compresa la criminalizzazione della propaganda omosessuale, o il divieto della blasfemia. I giornalisti sono incarcerati spesso in relazione al lavoro che svolgono”.

Ma ci sono repubbliche che stanno anche peggio. La Bielorussia, per esempio, è al 157mo posto. Qui, dove i servizi segreti si chiamano ancora Kgb, i giornalisti sono molto spesso arrestati nell’ambito di vere campagne di regime contro “l’estremismo”. Anche i siti on-line critici o sospetti tali sono regolarmente oscurati. L’Ucraina, che fino al 2010 era considerato un rifugio sicuro per la stampa libera, attualmente sta tornando ai livelli repressivi sovietici. Si piazza al 127mo posto, in coda alla Russia ed è in costante peggioramento. Se il suo presidente Yanukovich dovesse vincere definitivamente il braccio di ferro con le opposizioni filo-europee, probabilmente arriverebbe a chiudere ancora di più i rubinetti della libera informazione.

Leggere un servizio da Sochi, che non sia strettamente sportivo, è dunque diventato un mestiere difficile. Va verificata la fonte. Se la fonte è russa o di un’agenzia o di una testata di una repubblica ex sovietica, deve essere necessariamente fatta la tara. Altro che “solo in Russia si leggono o si sentono certe notizie”, come dicono i filo-putiniani nostrani!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:51