La frizzante Scarlett negli Usa sgasati

Cosa ha fatto Scarlett Johansson, la sensualissima attrice americana, di tanto grave da sconvolgere i sonni dei benpensanti quotidiani radical newyorkesi? La ragazza, si sa, ha carattere. Tuttavia, non è andata giù all’America di Obama la scelta della sua star di punta di concedersi come personaggio-immagine di una casa produttrice di sistemi per rendere frizzante l’acqua. Ma cosa avranno mai di tanto riprovevole le bollicine di soda da meritare il pubblico ludibrio? Deve trattarsi di qualcosa di veramente terribile, molto di più della scoperta fatta alcuni anni orsono di quella multinazionale dell’abbigliamento sportivo, subito perdonata, che si faceva cucire i palloni da calcio dai bambini pakistani ridotti in stato di schiavitù.

Forse si è trattato di qualche contraffazione ben peggiore di quelle compiute da certe aziende che usavano scarti alimentari per produrre mangimi per animali. Magari l’impresa dell’acqua frizzante si è sbizzarrita con l’uso dei coloranti come hanno fatto certi produttori di mozzarelle in Germania che le hanno dipinte di blu, sulle note della canzone del nostro Mimmo nazionale. Nulla di tutto ciò. Il peccato grave, che chiama in causa la responsabilità concorsuale della bella Scarlett per avervi prestato il volto, sta nel fatto che l’azienda produttrice della “SodaStream”, questo è il nome del prodotto pubblicizzato, risieda e operi in una cittadina a Est di Gerusalemme, precisamente a Ma’aleh Adumim, nella zona della West Bank.

Secondo la vulgata delle “anime belle” sparse per il mondo, si tratta di un territorio occupato illegittimamente da Israele. Per questa ragione tutto ciò che viene concepito e costruito da quelle parti si presume grondi di sangue innocente di palestinesi defraudati dei loro diritti sovrani. Bisogna, a parere loro, essere dei duri di cuore o degli stolti ad acquistare questo genere di prodotti che fanno la ricchezza degli assassini israeliani. E la Johansson, con la sua faccia e le sue sensuali movenze contribuisce consapevolmente a ingannare i poveri consumatori americani che, se avessero contezza di che razza di crimine c’è sotto alla produzione della soda israeliana, si guarderebbero bene da farci le bollicine con quell’infernale aggeggio.

Dunque l’attrice è rea di una grave colpa e per questo ha meritato la campagna stampa, fatta anche di alcuni pregevoli manifesti, che la ritraggono con una lettera scarlatta dipinta sulla fronte. E così che la “ragazza con l’orecchino di perla” finisce per essere assimilata alla giovane adultera Ester Prynne, creata dalla penna di Nathaniel Hawthorne, costretta a portare a vita la lettera A impressa a fuoco sul seno a simbolo di eterna vergogna per la colpa di cui si è macchiata. È la lettera A dell’adulterio, è il segno che rendeva le donne giudicate dalla superpuritana America alla stregua delle prostitute.

Come a dire: “Per quello che fai, Scarlett, sei una puttana!”. Come ieri, così oggi, le modalità d’attacco di una certa categoria di benpensanti, un po’ radical un po’ upper class, sono sempre uguali e fanno il paio con certe idee brillanti di cui si è fatta fiera paladina la detestabile rappresentante della politica estera e di sicurezza della Unione Europea, Catherine Ashton. Ve la ricordate? È quella che vuole etichettare con appositi marchi distintivi i prodotti fabbricati da società israeliane nei cosiddetti “territori occupati” per evidenziarne la provenienza ai consumatori europei. Reiteriamo il suggerimento che già alcuni mesi orsono rivolgemmo alla Ashton da queste stesse pagine: “Incollate su quei prodotti una bella stella gialla di David così nessuno potrà confondersi, come settanta anni fa non si confusero per niente i nazisti”.

La Johansson ha difeso la sua scelta sostenendo che la “SodaStream” applica misure ecocompatibili e, inoltre, ha tra le sue maestranze cittadini palestinesi i quali vengono trattati dal punto di vista dei diritti salariali e previdenziali allo stesso modo dei lavoratori israeliani. Tra i diversi gruppi non vi è alcuna discriminazione, al contrario la fabbrica rappresenta un modello d’integrazione interculturale che dovrebbe costituire il paradigma per il futuro delle relazioni tra le due comunità. Purtroppo neppure questa sensata spiegazione è bastata a fare recedere i benpensanti dall’ostilità pregiudiziale a cui hanno ispirato le loro dichiarazioni.

La verità è ben altra ed è terribile, scomoda, sconveniente, vile, impronunciabile: l’antisemitismo non è mai morto in Occidente, come invece taluni ipocriti governanti hanno tentato di far credere. La verità è che dietro l’odio per Israele si cela l’antico pregiudizio razziale verso l’ebreo. C’è poco da fare: è la solita vecchia storia. Il 27 gennaio di ogni anno il mondo libero fa le sue abluzioni purificatrici nella memoria condivisa della nostra civiltà. Con dosi industriali di ipocrisia pronuncia la fatidica frase: mai più. Si spertica in celebrazioni e retorica resa a buon mercato. Manda in onda i soliti programmi televisivi autoassolutori e l’immancabile “Schindler’s list”. Come se tutto il male e l’odio coltivato e sedimentato in secoli di storia potessero essere riassunti e giudicati in quel solo unico processo celebrato a carico di un pugno di implacabili assassini sopravvissuti all’odio e alla ferocia da loro stessi disseminati.

Come se tutto il male e l’odio fossero stati portati ad Auschwitz Birkenau e lì sepolti con le stesse modalità con cui per anni si sono sepolti i veleni in Campania. Tutto in un solo giorno. Tutto una volta all’anno. In fondo è un prezzo accettabile per la più vasta operazione di rimozione della verità che la Storia abbia mai conosciuto. Come se l’aspirazione della Germania nazista allo “Judenrein” fosse poi tanto diverso dai pogrom anti- ebraici della Russia zarista prima e dello stalinismo sovietico dopo, o dalla pulizia razziale dal vomito (è il termine con cui i papi definivano l’ebraismo) radicato in terra di Spagna al tempo di Isabella la cattolica e del suo personale olocausto in nome della “limpieza de sangre”, o dalla subumana, spregevole e, “giustamente” umiliata, figura dell’usuraio Shylock, dell’ebreo Shylock dipinta da William Schakespeare nel suo razzistissimo “Mercante di Venezia”.

Passato il 27 di gennaio tutto finisce in cavalleria e si ricomincia. Con un tono più sottile, ma altrettanto diabolico. “Non ce l’abbiamo con gli ebrei, ce la prendiamo con gli israeliani che vogliono a tutti i costi imporre un regime imperialista negando il diritto alla Patria ai poveri palestinesi. Infrangendo confini che mai nessuno ha definito. Infrangendo quelle linee armistiziali del 1949 erette a muraglia per arginare il diffondersi dell’epidemia sionista. Negando quelli che Abba Eban chiamava gli “Auschwitz Borders”. La Johansson ha tenuto duro agli attacchi. Ha perfino rinunciato ad essere ambasciatrice della O.N.G Oxfam, impegnata nella lotta alla fame nel mondo, che le ha ingiunto di lasciar pardere la pubblicità della israelita “Sodastream”.

Vedevamo, dagli schermi, chela ragazza era sexy da impazzire, immaginavamo che avesse cervello e qualità, vista la fulminea carriera artistica, ma che fosse anche tosta, nel mantenere il punto su una scelta di coerenza, è stata una bella sorpresa che ce la fa amare, se possibile, ancora di più. Ci piacerebbe solo vedere un po’ di carattere anche dalle nostre parti. Parlo di noi italiani che, in fondo, nonostante la millenaria egemonia culturale esercitata dalla Chiesa di Roma sulle coscienze dei nostri progenitori, razzisti e antisemisti alla stregua dei nostri amati cugini d’oltralpe e dell’Europa del Nord, non lo siamo mai stati. La tradizionale amicizia che ci lega al popolo d’Israele meriterebbe di vivere una nuova stagione senza che si aspetti un prossimo 27 di gennaio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:50