L’Egitto tra una dittatura e l’altra

Il 24 gennaio 2014 sarà una data importante per l’Egitto. Non tanto e non solo perché è il terzo anniversario dell’inizio della rivoluzione contro il regime di Moubarak. Ma soprattutto perché segna, col sangue e con le bombe, l’inizio della fine della traballante democrazia egiziana. Il botto è stato triplice: un furgone imbottito di esplosivo è stato fatto saltare in aria dal suo conducente di fronte alla sede delle forze di sicurezza del Cairo, devastandone la facciata, provocando almeno quattro vittime (i feriti sono 76) e danneggiando gravemente anche il vicino museo dell’arte islamica.

Le autoambulanze erano appena arrivate sulla scena, quando altre due autobombe sono esplose in altri distretti. Un primo ordigno è stato fatto detonare dall’altra parte del Cairo, nel quartiere Dokki, vicino a una postazione della polizia che presidia la locale stazione della metropolitana, provocando un altro morto e ferendo una ventina di persone. Infine, una terza autobomba è esplosa davanti alla centrale di polizia di Giza, quella che presidia il tradizionale percorso fatto dai turisti per andare alle Piramidi, senza tuttavia provocare vittime. Tre attentati quasi in simultanea in differenti punti della città rappresentano una firma chiara: Al Qaeda. E infatti la rivendicazione è arrivata già in mattinata.

L’esecutore è Ansar Beit al Maqdis (i campioni di Gerusalemme) un gruppo armato affiliato alla rete del terrore internazionale fondata da Bin Laden. Gli egiziani, però, vedono un crescendo di terrorismo islamico e lo attribuiscono ai loro estremisti interni, a quei Fratelli Musulmani che sono stati banditi proprio dopo un altro attentato, il 16 dicembre scorso. Dopo che il presidente Mohammed Morsi è stato “detronizzato” a furor di popolo e ha preso il via l’attuale fase di governo civile controllato dai militari, i Fratelli Musulmani hanno costituito una grave minaccia per la stabilità, con manifestazioni violente, scontri con la polizia e attacchi ai cristiani (e alle loro chiese e proprietà).

La Fratellanza, comunque, ha sempre negato di avere legami con i terroristi, per lo meno con quelli che piazzano bombe e organizzano agguati mortali. La gente, però, li accusa della violenza in senso lato. Anche perché i predicatori loro vicini continuano a seminare odio. Il risultato di questa tensione è dunque la dittatura militare. Subito dopo gli attentati di ieri mattina, a mezzogiorno una folla più o meno spontanea di cittadini, muniti di bandiere egiziane e ritratti del generale Al Sisi, si è riunita sul luogo della prima esplosione. Manifestavano contro i Fratelli Musulmani, contro il radicalismo islamico, chiedevano tutto il potere per il generale, perché “la facesse finita una buona volta” con i terroristi interni. Ecco allora che il ciclo si chiude. A marzo ci saranno le elezioni presidenziali anticipate. Al Sisi è il candidato favorito. Non ha neppure dato le dimissioni dal suo ruolo di generale dell’esercito. A tre anni esatti dalla fine della dittatura militare di Moubarak, possiamo ben prevedere l’inizio del nuovo regime. Anch’esso militare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46