Quanta fretta a sdoganare l’Iran

Lo sdoganamento internazionale dell’Iran sta procedendo con molta fretta. Forse troppa. Si sta verificando rapidamente su due fronti: nucleare e Siria. Il che è la dimostrazione di come Barack Obama e Vladimir Putin, a San Pietroburgo, lo scorso settembre, si siano parlati eccome, al di là della ufficiale freddezza. Andando con ordine. La questione nucleare ha compiuto il suo primo passo avanti reale con l’ispezione dell’impianto di Natanz, dove viene arricchito l’uranio (dunque: dove viene prodotto il materiale che è potenzialmente utile per la costruzione di bombe nucleari). Gli ispettori dell’Aiea hanno potuto personalmente spegnere gli impianti, scollegando le centrifughe per l’uranio.

La sospensione del processo industriale dell’arricchimento dell’uranio è la condizione sine qua non dell’alleggerimento delle sanzioni internazionali e dell’inizio di un dialogo vero fra Teheran e le potenze del gruppo di contatto internazionale. Non a caso, ieri, il presidente dell’Agenzia Atomica iraniana, Alì Akhbar Salehi, ha dichiarato, con una suggestiva metafora, che “l’iceberg delle sanzioni si sta sciogliendo”. Le sanzioni si scioglieranno certamente, permettendo all’economia iraniana in crisi di tirare di nuovo il fiato. Ma siamo veramente sicuri che l’Iran stia realmente sospendendo il processo di arricchimento dell’uranio? E che non lo possa riprendere nell’immediato futuro? Ci sono almeno forti dubbi su entrambe le questioni.

Prima di tutto l’impianto di Natanz non era mai stato dichiarato in pubblico finché non è stato scoperto e svelato all’estero da dissidenti iraniani. Altrimenti sarebbe rimasto segreto. Lo stesso dicasi per la più recente centrale di Fordow, scavata in una montagna, scoperta solo grazie al lavoro di intelligence statunitense nel 2009, ma mai dichiarata. Quanti altri impianti segreti ci sono in Iran? Chi garantisce che gli ispettori dell’Aiea stiano supervisionando tutto il processo industriale e non solo una parte? Che mentre vengono scollegate le centrifughe a Natanz, altrove, altri impianti stiano continuando a produrre uranio arricchito? Infine non ci sono affatto garanzie che, sospendendo ora l’arricchimento dell’uranio, Teheran non lo riprenda nell’immediato futuro, quando la sua economia inizierà a mostrare i primi segni di ripresa.

Prendere tempo per tirare il fiato è sempre stata la strategia preferita per l’ex negoziatore, e attuale presidente, Hassan Rouhani. Non solo: secondo il think tank Isis, come apprendiamo dal suo ultimo rapporto del 2013, l’Iran potrebbe già aver prodotto una quantità sufficiente di uranio arricchito per costruire le sue prime testate nucleari. Questa distensione, dunque, sarebbe solo di facciata e a costo zero per il regime iraniano. Passando alla questione siriana, stupisce la fretta con cui lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, sia passato da un atteggiamento di condanna ed esclusione ad un invito, aperto e ufficiale, rivolto all’Iran affinché partecipi ai negoziati di Ginevra. Ban Ki-moon, fino a tre mesi fa, era convinto che la comunità internazionale dovesse intervenire in Siria, anche con la forza se necessario, contro il regime di Bashar al Assad e i suoi alleati iraniani. Appare insolita questa svolta di 180° in così poco tempo. E, soprattutto, con così poche garanzie.

Stando a Ban, il governo iraniano ha semplicemente assicurato che “giocherà un ruolo positivo” nei negoziati a Ginevra. Gli Stati Uniti, chiaramente, esprimono tutta la loro perplessità. Ed è comprensibile: la presenza dell’Iran farebbe automaticamente indignare Turchia, Qatar e, in generale, la Lega Araba. Gli arabi sunniti, infatti, temono l’ingerenza iraniana (sciita) nel Medio Oriente quasi più di Israele. La guerra che gli arabi sunniti e i turchi stanno combattendo indirettamente in Siria mira proprio a scardinare l’alleato regionale dell’Iran. E dove sarebbero, poi, queste garanzie di un “ruolo positivo” del regime di Teheran? Non risulta che abbia ritirato le sue forze speciali, le brigate Al Qods, dai campi di battaglia siriani, dove combattono al fianco del regime di Assad, addestrano i suoi uomini e coordinano le operazioni di contro-guerriglia.

Non risulta neppure che Teheran abbia richiamato all’ordine gli Hezbollah, che in Siria sono più attivi che mai. E dunque perché gli insorti siriani e i loro alleati sunniti dovrebbero fidarsi degli ayatollah iraniani? La causa di tutta questa fretta, dunque, non può essere trovata in Siria, né nel regime iraniano. Non è ancora chiaro cosa Barack Obama e Vladimir Putin si siano detti a San Pietroburgo, lo scorso settembre, a margine del vertice del G20. Fatto sta che la diplomazia nel Medio Oriente, da quel momento in poi, non è più stata la stessa. Gli Usa hanno archiviato in fretta l’idea di intervenire militarmente in Siria (anche constatando che mancava del tutto il consenso per un’azione) e da quel momento in avanti anche le diplomazie occidentali hanno seguito la linea tracciata da Mosca: soluzione politica alla crisi siriana, dialogo sul nucleare iraniano.

Cosa ci darà in cambio la Russia non è dato saperlo. Per ora è ben visibile quel che noi abbiamo concesso loro: l’immunità dell’Iran e la salvezza sostanziale del regime di Assad in Siria. Le conseguenze, soprattutto per lo sdoganamento dell’Iran, possono essere molto gravi: se dovesse realmente dotarsi di bombe atomiche?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52