Processo Rafiq Hariri, Hezbollah alla sbarra

All’Aia è iniziato ieri il processo a quattro uomini libanesi, membri del movimento politico armato sciita Hezbollah, il “Partito di Dio” filo-iraniano che controlla il Sud del Libano e tiene sotto scacco il governo di Beirut. I quattro sono assenti. Un quinto è sospetto, ma non (ancora) sotto processo. Il procuratore Norman Farrell ha aperto la prima sessione ricordando che gli imputati sono innocenti fino a prova contraria, benché siano, appunto, assenti e in aula vi siano i parenti delle loro possibili vittime. Il processo in questione è un affare molto grosso: si tratta dei sospetti omicidi di Rafiq Hariri, l’ex premier libanese, musulmano sunnita, filo-occidentale, assassinato il 14 febbraio 2005.

Sembra passato un secolo da quando, in quella giornata apparentemente tranquilla, una gigantesca autobomba scoppiò nel cuore di Beirut, stroncando la vita all’ex premier, al suo entourage e a tutti coloro che avevano la sventura di trovarsi nei paraggi. L’ordigno uccise 21 persone. La quantità di esplosivo utilizzata, sproporzionata rispetto allo scopo, rivela, secondo la pubblica accusa, la chiara intenzione di terrorizzare il governo e il popolo libanese. Fu un evento sismico, non solo per lo scuotimento del terreno provocato da quella singola esplosione, ma per l’effetto e l’onda d’urto che travolsero la politica libanese. Fino a quel momento, da 15 anni, il Paese dei Cedri era un “tranquillo” protettorato siriano.

L’esercito del regime di Damasco era entrato con la forza nel Libano nel 1976, contribuendo ad alimentare la guerra civile già in corso fra le fazioni musulmane e cristiane. Dopo una serie di vicende belliche, impossibili da riassumere in questa sede (fra cui la guerra siriano-israeliana nel 1982 e l’invio della missione internazionale di pace fino al 1984), i siriani, nonostante l’opposizione occidentale, rimasero da padroni a partire dal 1990. Sconfitte le ultime resistenze dei nazionalisti cristiani, trasformarono il Libano in una loro vera e propria succursale. Gli equilibri di allora furono congelati ulteriormente dalla Guerra del Golfo, quella del 1991: la Siria di Hafez al Assad (padre dell'attuale dittatore) si schierò apertamente con la Coalizione internazionale e contro Saddam Hussein.

In cambio, ricevette la legittimazione delle sue aspirazioni in Libano. Questa “pace del cimitero” fu scossa improvvisamente, come tutto il resto del Medio Oriente, dallo scoppio della Seconda Indifadah in Israele (2000) e subito dopo dall’attacco all’America dell’11 settembre (2001). Gli Stati Uniti abbandonarono l’idea del mantenimento dello status quo. La Siria entrò a pieno titolo nell’Asse del Male, essendo alleata fedele all’Iran, che iniziava a far parlare di sé per le armi atomiche. Dopo la guerra in Iraq del 2003, dalla Siria partì il grosso degli jihadisti che combatterono la lunga guerriglia contro gli americani e gli alleati.

E in questo nuovo scenario, il Libano iniziò ad intravvedere la possibilità di scrollarsi di dosso il dominio siriano, con l’appoggio di democrazie occidentali che parlavano, per la prima volta, esplicitamente, di “esportare la democrazia” anche nelle terre che se la stavano ormai dimenticando. Rafiq Hariri, un moderato, tutt’altro che un rivoluzionario anti-siriano, era uno degli uomini più ricchi del mondo. I suoi lunghi governi, il primo dal 1992 al 1998 e il secondo dal 2000 al 2004, caratterizzarono tutta la normalizzazione e la ricostruzione del Libano, dopo 25 anni di guerra civile. Come nei peggiori stereotipi sui levantini, era un gran galleggiatore. Obbediva ai siriani, proteggeva Hezbollah (che arrivò a definire l’“unica difesa contro un’invasione israeliana”), ma faceva affari con tutti. Prima di tutto con i Paesi arabi sunniti, in forza della sua religione.

Poi anche con l’Occidente. Non collaborò molto attivamente alla guerra al terrorismo, iniziata nel 2001 e si oppose al conflitto iracheno nel 2003: le sue dichiarazioni restano un esempio di non-allineamento. Tuttavia, nel 2004, il dittatore di Damasco Bashar al Assad lo accusò di fare accordi sottobanco con Jacques Chirac (non con George W. Bush, ma con la Francia di Chirac, che allora seguiva una politica mediorientale non allineata con quella degli Usa) per buttare fuori i siriani dal Paese. Benché invisi agli Usa, i libanesi sunniti allora al potere, stavano dunque approfittando dell'agitarsi delle acque per liberarsi? Pare proprio di sì e puntualmente, sei mesi dopo il duro confronto fra Assad e Hariri, il secondo venne ammazzato dall’autobomba.

Allora i libanesi pensarono subito alla Siria e ai loro servizi segreti. E il primo effetto politico fu la grande sommossa pacifica della piazza contro i siriani. Il moto di ribellione fu talmente vasto ed esemplare da mobilitare tutta l’opinione pubblica internazionale contro Damasco. Che alla fine cedette: Assad, dopo 15 anni di occupazione, ritirò i propri soldati dal Libano, così da smorzare una tensione ormai insostenibile. Due anni dopo l’attentato, nel 2007, fu costituita la commissione internazionale di inchiesta sull’attentato ad Hariri. Da allora, paradossalmente, il Libano che si era appena liberato dei siriani, divenne prigioniero del suo passato. Hezbollah, alleato d’acciaio della Siria e dell’Iran, era infatti presente sul territorio e dominava la regione meridionale del Sud del Libano, con un proprio esercito e un proprio servizio segreto perfettamente strutturati, forti quanto quelli del governo di Beirut. Nel 2006, Hezbollah si sentì sufficientemente sicuro da lanciare una propria guerra contro Israele.

E, in un certo senso, la vinse: evitò l’annientamento e poté riarmarsi negli anni successivi. Da allora, il Libano contrabbandò la stabilità con la verità: non fu imbastito alcun processo ai sospetti omicidi di Hariri, non fu condotta alcuna seria indagine locale. Non solo: nessun governo dichiaratamente anti-Hezbollah, benché votato dalla maggioranza assoluta dei libanesi, poté realmente governare, senza scendere a pesanti compromessi. La commissione internazionale di inchiesta spiegò il motivo di questa paralisi: i maggiori sospetti per l’attentato del 2005, erano proprio loro, gli Hezbollah. Ora, nel processo, si chiarirà se agissero in proprio o per conto dei siriani.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52