Lo stop di Hollande alle “voglie” dei media

Essere in macchina e ascoltare, su Rai Uno, una trasmissione sulla conferenza stampa del presidente francese, è stato quanto di più sgradevole potesse capitarmi. Non tanto per le parole di Francois Hollande che non si sono potute ascoltare, perché letteralmente ignorato dal conduttore radiofonico italiano, quanto per le cose rovesciate sugli ascoltatori dallo stesso cronista e che la dicono lunga su quanto, ormai, è malata la nostra società. Ogni paio di minuti, tra un’intervista e l’altra, il nostro conduttore si collegava con Parigi e domandava se il presidente stesse ancora parlando di economia e di crisi e, alla risposta affermativa, congedava la sua collega fissandole altro appuntamento.

La cosa si è ripetuta diverse volte e, a titolo di scusa, dichiarava che certo le cose economiche erano importanti ma lui era là per sentire cosa avrebbe detto sulla liaison che lo riguardava. Non ce l’ho fatta a mantenere aperto il collegamento radiofonico, che mi aveva irritato parecchio, anche perché lo stesso conduttore, dimostrandosi scandalizzato, ci faceva sapere che, da un sondaggio, risultava che il 70% dei francesi considerava l’avventura amorosa di Monsier le President un fatto esclusivamente privato, e il nostro cronista, come a scusarsi con i radioascoltatori, commentava che l’interesse dei media sul problema non era semplice gossip, ma nasceva dal fatto che la leggerezza di Hollande metteva in serio pericolo la sicurezza dello Stato francese dato che la massima espressione istituzionale di quel Paese si esponeva a gravi e possibili ricatti.

Era chiaramente la scusa per non apparire morbosamente attento alle vicende da letto di Francois Hollande e Julie Gayet. A lui, come agli oltre 500 giornalisti che affollavano la conferenza stampa è arrivata la netta risposta di Hollande che può sintetizzarsi in un chiaro, “non sono cazzi vostri, sono problemi miei”. Un pugno micidiale che ha bloccato sul nascere ogni tentativo di speculazione su un problema che al massimo apre, per chiuderla, un’altra pagina della sua vita privata, come sarà la rottura ufficiale con l’attuale inquilina dell’Eliseo.

La delusione dell’illustre conduttore, per la netta chiusura di Hollande, sarà stata enorme ma essa non è altro che il frutto fedele della prurigine italiana che anima la stragrande maggioranza dei cronisti del nostro Paese, vissuti a pane e sesso mediatico, con addosso una seconda pelle. È indubbio che la guerra fatta a Berlusconi per le cene ad Arcore (e chi ha avuto la fortuna di seguire il processo Ruby ne sa qualcosa essendo stato molto più scandaloso di quel che si diceva potesse essere avvenuto col bunga bunga), quella guerra era finalizzata all’aggressione del Cavaliere che i media italiani e non solo hanno sposato letteralmente.

Una guerra che puntava ad un obiettivo massimo (la condanna nei tre gradi di giudizio magari con un’altra sezione feriale) e ad un obiettivo minimo (lo sputtanamento di un leader che non si era riusciti a sconfiggere in altro modo). In Italia questo percorso ha avuto successo perché nel nostro Paese si è riusciti a far metabolizzare, da tempo, che lo sguardo possa essere ficcato nella serratura, mandando a quel paese ogni protesta per la violazione della privacy e addirittura codificando la legittimità che non esiste vita privata per un uomo pubblico.

Senso dello Stato e orgoglio nazionale sono ormai concetti dati alle ortiche, e la cosa è tanto più grave di quanto si possa pensare se si tiene conto che a soffiare sul fuoco dello scandalismo guardone è quasi tutto l’arco più importante dei media del nostro Paese. Proprio la vicenda Hollande dovrebbe servirci per riflettere tutti. Non solo la politica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47