Tracce tricolori nel New Mexico

Alla scoperta di tracce di Italia nel vasto territorio americano, oggi incontriamo chi ci può dire qualcosa sul connubio Italia e New Mexico. Davide Arminio è un giovane intraprendente giornalista italiano, che in Italia ha già pubblicato e vinto un importante premio giornalistico, che ci racconta la sua esperienza di giovane stagista ad Albuquerque. E’ anche un buon esempio di giovane italiano che negli Stati Uniti è andato, ma è anche tornato in Italia.

Davide, sei appena tornato da questa esperienza negli Stati Uniti. Prima di tutto: sei soddisfatto della tua esperienza di stagista?

Il New Mexico non è esattamente come l’America della quale ci si fa l’idea normalmente, quella che è probabilmente sulle due coste. Dal punto di vista dell’esperienza professionale, il mio stage mi ha garantito una grandissima autonomia: avevo un referente che mi aiutava con alcuni contatti, al di là della rete derivante dalla mia famiglia che vive lì: ma per il resto avevo grande libertà circa il cosa scrivere. La mia esperienza nasce dal fatto che ho voluto approfittare dell’anno della cultura italiana negli Usa per fare questo stage presso l’Albuquerque Journal, che viene distribuito nell’area metropolitana di Albuquerque e in gran parte del New Mexico, con una tiratura comparabile a quella di un grande giornale di provincia italiano. Lo stage è nato da una mia iniziativa, mi sono proposto e loro hanno accettato: l’ho potuto fare grazie al fatto di avere i miei parenti lì che mi hanno ospitato. Mi sono occupato della comunità italiana e della cultura italiana nel New Mexico: ho scritto circa un articolo a settimana, affrontando storie che a volte non erano conosciute dagli stessi italiani che vivono lì, riguardanti il rapporto della cultura italiana con il sud ovest degli Stati Uniti ma anche in generale con altri stati. La sensazione che ho avuto è che lì, nella situazione in cui ero io, non fosse affatto facile conseguire la possibilità di fare uno stage retribuito: mi è stato addirittura chiesto, da uno dei collaboratori del quotidiano, se avessi conoscenze all’interno della dirigenza del giornale. Insomma, da questo punto di vista, non ho trovato grandissima differenza tra il New Mexico e l’Italia. Probabilmente in una grande città di una delle due coste le cose sono un po’ diverse, almeno così immagino… È stata comunque un’esperienza interessante e importante, fuori dal classico schema, visto che il sud ovest degli Stati Uniti ha particolarità che lo rendono unico. Il New Mexico è il secondo stato più povero degli Usa, anche lì entrare nel mondo del lavoro con una buona posizione per un giovane non è facilissimo.

Che differenze vedi nel mondo del giornalismo fra Italia e Stati Uniti?

Più o meno, il lavoro è quello. Tono e stile di struttura sono un po’ diversi perché riflettono le due diverse società e culture, ma ad esempio l’attenzione per il colore, per la notizia ad effetto, l’ho vista lì ma la ritrovo anche qui in Europa. D’altra parte, loro sono estremamente attenti alle fonti: bisogna sempre dichiarare chi ha detto esattamente cosa, quando e come e a chi l’ha detto … va rispettato il copyright delle foto … insomma, c’è maggiore attenzione all’esigenza di mettere il lettore nella condizione di capire e conoscere nei minimi dettagli ciò che si sta raccontando.

Sei stato in una zona, quella del New Mexico, che non è certo tra le più conosciute per noi italiani. Ci descrivi l’area in cui hai vissuto per questi mesi?

L’area del New Mexico vede l’intreccio tra tre culture: quella originale dei nativi americani, quella ispanica (anch’essa molto antica), e quella più recente americana come la conosciamo generalmente. Il risultato è interessante e inedito: dal punto di vista dell’approccio alla vita, delle tradizioni, dello stile architettonico che ha disegnato le città. Io ho percepito un’anima sotterranea, interessante ma un po’ trascurata, perché coperta un po’ dalla cultura mainstream americana fatta di fast food, automobili, lavoro duro e di fretta, insomma la società consumistica ad alta produttività, che ci è nota. C’è invece anche una struttura sociale che ricalca quella tradizionale dei nativi americani e in parte degli ispanici, che gioca un ruolo importante anche se non del tutto valorizzato, e che penso sia per certi versi adatta ad accogliere comunità di italiani, portatori di una cultura che per alcuni aspetti è più simile a queste piuttosto che a quella americana di cui accennavo sopra. Il mio pensiero è che il New Mexico è un posto dove gli italiani si possono trovare bene. Ad esempio, ho incontrato Giovanna Paponetti, un’artista italoamericana che è nata nel Connecticut ma si è poi spostata a Taos, che è nota per essere un centro di grande attività culturale: e lei mi ha detto che sin dall’inizio è rimasta molto colpita e coinvolta dalle reti sociali e familiari dei nativi americani e degli ispanici. Quando poi è finalmente andata a visitare l’Italia, dove non era mai stata prima, ha verificato la similarità tra queste culture, trovando in Italia dinamiche simili a quelle che l’avevano colpita a Taos. Lo scenario geografico del New Mexico è comunque abbastanza vario. Sicuramente c’è una parte dello stato che è una specie di landa semidesertica con arbusti e poco altro; però ad esempio nel nord si scopre di stare di fatto in una grande prateria, dove a volte si trova l’erba alta fino al ginocchio e si allevano mandrie. Ci sono valli dove scorrono i fiumi, la più notevole è quella del Rio Grande, dove si trovano la maggior parte degli insediamenti dei nativi americani. Sulle montagne ci sono boschi che richiamano quelli delle nostre Alpi. D’inverno fa abbastanza freddo, in montagna nevica copiosamente: ci sono anche stazioni sciistiche tra Albuquerque e Santa Fe. Una delle particolarità che non si può non notare è la luce: il cielo è sempre pulito e sgombro e la luce è molto suggestiva, ed è uno dei motivi del successo di Taos come luogo in cui alcuni artisti decidono di passare parte del loro tempo. Lo stato federale è con tutta probabilità il principale datore di lavoro, perché ci sono diverse basi e laboratori militari, specialmente a Los Alamos e ad Albuquerque: lì è dove è stata esplosa la prima bomba atomica come esperimento, che ancora oggi è zona militare.

Com’è la storia dell’emigrazione italiana, e la presenza odierna, in New Mexico?

Ho individuato tre tipi di immigrazione italiana, oltre ovviamente a quella del periodo dell’emigrazione di massa a cavallo tra i due secoli, che arrivò per lavorare nelle numerose miniere. Ci sono coloro che giunsero direttamente dall’Italia, soprattutto dal sud dopo la seconda guerra mondiale; ci sono quelli che in New Mexico arrivarono dopo aver passato un po’ di tempo nelle città della costa est, in particolare tra il New Jersey e lo stato di New York, in cerca di un clima e di uno stile di vita meno frenetico e più simile a quello italiano; e poi ci sono gli italiani arrivati da poco, magari perché hanno sposato un cittadino americano. Esistono alcune associazioni di italoamericani, ad Albuquerque la vita della comunità italiana è abbastanza vivace: a febbraio verrà organizzato il festival di cinema e cultura italiana, e insieme ad esso ci sarà un torneo di bocce, gioco molto popolare tra gli italoamericani. C’è una forte comunità a Gallup, ad ovest quasi al confine con l’Arizona: una ex città mineraria con una ricca comunità italiana e un’associazione che organizza diverse cose, il Principe Luigi Lodge. Ancora oggi sono attive anche alcune Società di mutuo soccorso, la cui fondazione risale a tantissimi anni fa. Nel New Mexico ci sono poi due Vice Consoli onorari che tengono i rapporti istituzionali con il Consolato a Los Angeles. Certamente la storia più importante sulla quale ho scritto un articolo è quella di Dawson, della quale lo scorso anno è stato il centesimo anniversario. Dawson è una città al confine con il Colorado, dove lavoravano diversi italiani nelle miniere di carbone. Nel 1913 ci fu un grande incidente, un’esplosione in cui morirono 263 persone, di cui 146 italiani; e poi ce ne fu un altro nel 1923, con 123 vittime, molti dei quali erano figli di coloro che morirono nell’incidente di dieci anni prima. C’è ancora un cimitero, con le croci bianche fornite dalla compagnia mineraria: e quest’anno, per il centenario, è stato designato che in New Mexico il 22 ottobre è il giorno del ricordo di Dawson (Dawson Remembrance Day), che fu il secondo più grave disastro minerario nella storia degli Stati Uniti. Due italiani stanno producendo un documentario sull’incidente del 1913 e sulla storia di alcuni di coloro che vi trovarono la morte.

Il Made in Italy ha successo anche lì?

In realtà si. Ho incontrato ragazzi delle scuole superiori che studiano italiano: ci sono cinque scuole ad Albuquerque dove si insegna l’italiano, non è affatto poco. Inoltre l’immagine dell’Italia come alta qualità nel cibo, nella cultura, nel vestirsi e nell’arte è molto forte: anche nel New Mexico l’Italia è sinonimo di piacevole stile di vita.

Nei rapporti tra Italia e Usa non è piccolo il numero di giovani che dall’Italia vanno a fare un’esperienza lavorativa in America e poi sono costretti a tornare: tu sei uno di loro. Tornerai in America, o cercherai di mettere a frutto qui in Italia quanto hai imparato lì?

Vorrei impegnarmi nel mio Paese o magari in Europa… per ora non conto di tornare negli Stati Uniti per trasferirmi lì, e certamente non nel New Mexico: ma non perché non mi sia piaciuto, anzi. Ho imparato diverse cose lì, forse ho potuto comprendere una delle grandi differenze tra gli italiani e gli americani: loro sono più rigidi nel rispettare le leggi, noi lo siamo nel seguire tradizioni e rapporti sociali e lavorativi. Ma entrambi i popoli condividono una grande forza nella capacità di reinventarsi e di mettersi in gioco.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46