Supertassa Hollande, la nuova ghigliottina

Alla fine il presidente François Hollande ce l’ha fatta. Ha coronato il suo sogno. Ha imposto ai francesi la tassa più alta del mondo: l’aliquota del 75% per i “super-ricchi”, cioè i cittadini francesi con un reddito pari o superiore al milione di euro all’anno. Era una delle sue principali promesse elettorali, è stato eletto dalla maggioranza dei francesi anche per questa proposta fiscale da guinness dei primati e dopo due anni di battaglia legale e politica è riuscito a tradurla in realtà. Esattamente un anno fa, il 29 dicembre 2012, il Consiglio Costituzionale francese aveva bocciato la supertassa.

Non per l’esosità, da notare. Bensì per la sua modalità di applicazione: sui singoli individui ricchi, mentre tutte le altre tasse sono applicate ai nuclei familiari. Con una debita conversione del testo di legge, la stessa imposta è stata approvata. Problema superato. Ed è questa la prima (amara) lezione francese: non esiste alcun tetto costituzionale all’imposizione fiscale. Il 75% è quanto di più vicino si possa immaginare all’esproprio proletario. Tradotto in termini di tempo e lavoro, vuol dire lavorare per lo Stato 9 mesi su 12, e iniziare a guadagnare per sé solo negli ultimi tre mesi. Riconoscere la costituzionalità di una simile predazione è a un passo dal riconoscere la legalità dei lavori forzati. Per i ricchi, invece che per i poveri o per i dissidenti, ma sempre lavori forzati sono.

Bene, e adesso che Hollande ha vinto la sua battaglia, che ne sarà della Francia? A detta dello stesso governo socialista, l’imposizione della supertassa sui super-redditi non servirà assolutamente a ripianare il deficit (crescente) dei conti pubblici d’Oltralpe. Si tratta di una mossa puramente politica, che riguarda solo 30mila persone in tutto il Paese, troppo poco per cambiare le sorti economiche francesi. Il gettito dell’imposta sarà, con tutta probabilità, ancora inferiore alle previsioni, perché già Gerard Depardieu ha cambiato cittadinanza, diventato cittadino russo e assieme a lui altri milionari meno celebri hanno cambiato Paese. Ora si prevede anche l’esodo dei calciatori della serie A francese, a partire da Zlatan Ibrahimovic (del Paris Saint Germain) e di quei fortunati che, come lui, erano pagati 1 milione all’anno o più.

Il calciomercato francese teme questa fuga di talenti e non è un caso che le squadre del campionato siano l’unica categoria protagonista di uno sciopero di protesta proprio per questa tassa. Servendo a poco o nulla in termini economici, il senso di questa tassa è dunque quello di punire i ricchi. E ai francesi piace, stando ai sondaggi. La maggioranza la chiede. Hollande, come abbiamo visto, è stato eletto anche per questa proposta. Il declino della sua popolarità era dovuto anche alla bocciatura della supertassa nel 2012. E ora si prevede che il consenso nei suoi confronti salga di nuovo, rubando la scena a Marine Le Pen e alle sue proposte altrettanto populiste e “anti-ricchi”.

Quella che emerge da questa fase politica è dunque una Francia da Grande Terrore, da ghigliottina nelle piazze, avida del sangue (stavolta solo economico) dei “ricchi”. Una Francia indignata dalla crisi fino all’irrazionalità che non vuol più considerare i meriti dei suoi cittadini ricchi, né sperare nei benefici della loro attività imprenditorialità, sportiva o artistica: la maggioranza li preferisce vedere nella polvere. Per il male dei ricchi, più ancora che per il bene dei poveri.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:42