Giappone, il riarmo contro la Cina

Il dado è tratto: dopo lunga meditazione, il Giappone opta per il riarmo. Si tratta di una svolta a lungo annunciata, approvata dagli Stati Uniti nel corso dei colloqui bilaterali di questo autunno e ora operativa. Il governo ha annunciato ieri l’avvio di una nuova strategia nazionale e ha approvato il nuovo piano quinquennale per la costruzione di armamenti di ultima generazione. I cambiamenti fondamentalmente sono tre. Uno è politico: la nuova dottrina militare di Tokyo non è più auto-difensiva, ma di difesa collettiva. Cosa vuol dire? Vuol dire, essenzialmente, che forze armate nipponiche possono intervenire anche all’estero, nell’ambito di operazioni da condurre assieme agli alleati, se esigenze di sicurezza nazionale dovessero richiederlo.

Si tratta di un cambiamento radicale rispetto al passato. La “difesa collettiva” era un concetto tassativamente proibito dalla Costituzione sin dalla fine della Seconda guerra mondiale. Perché, si pensava fino a poco fa che con la scusa della sicurezza nazionale il Giappone avrebbe anche potuto riprendere una politica espansionista. Negli anni Trenta, l’ambizione di creare in Asia un’area di “co-prosperità” portò Tokyo in rotta di collisione con Cina, Urss e Usa, creando le premesse della Seconda guerra mondiale. Ora non esiste più questa percezione di pericolo e gli Usa (che, per motivi di risparmio, non vedono l’ora di delegare a qualche alleato la sicurezza nel Pacifico) hanno accettato di buon grado che il Giappone tornasse a proiettare la sua potenza militare anche al di fuori delle sue isole. Chiaramente si tratterà di una strategia concordata assieme agli Usa, che sono e restano la prima potenza militare nel Pacifico.

Il rischio di un nuovo conflitto contro la democrazia occidentale è quasi nullo. Mentre un Giappone più assertivo “serve” in funzione anti-nordcoreana e anti-cinese. Il secondo grande cambiamento è strategico. Finora la dottrina nipponica del dopoguerra si era fondata sulla difesa dall’Unione Sovietica. Dunque la forza di autodifesa nipponica era principalmente costituita da truppe di terra (compresa una divisione corazzata), tutta concentrata nella settentrionale isola di Hokkaido. In caso di guerra con l’Urss, la missione giapponese sarebbe stata una sola: respingere uno sbarco sovietico ad Hokkaido. Nient’altro. Non a caso le unità aviotrasportate erano ridotte ai minimi termini (una brigata) e le forze aeree e navali erano limitate al solo scopo di fornire scorta e appoggio alle portaerei e alle basi di terra statunitensi nel Pacifico settentrionale, oltre che a difendere le proprie coste.

Con la nuova strategia, il Giappone sposterà il suo baricentro dalla terra al mare e da Nord a Sud. Vi saranno nuove truppe anfibie e aviotrasportate, addestrate a combattere nelle isole del Pacifico, una nuova forza navale, in grado di reggere il confronto con la nascente potenza marittima cinese, l’intero schieramento guarderà verso Sud e verso Ovest (cioè: verso il continente asiatico). Il terzo cambiamento riguarda, appunto, la qualità degli armamenti. I nuovi mezzi di cui si doterà la flotta e l’aviazione sono soprattutto utili per operazioni anfibie e navali. È previsto l’acquisto di cacciatorpediniere dotati di sistemi anti-missile, che possono proteggere le città giapponesi da limitati lanci di ordigni balistici dalla Corea del Nord e dalla Cina e possono essere integrati nel sistema anti-missile statunitense.

È prevista la costruzione di nuovi sottomarini, l’unità che serve di più per combattere una moderna guerra navale e dunque adatta a contrastare la flotta cinese. E poi è prevista l’acquisizione di tutto l’equipaggiamento utile per condurre operazioni anfibie nelle isole del Pacifico: i convertiplani (aerei Svtol a decollo e atterraggio verticale), i mezzi corazzati anfibi e gli immancabili droni, aerei senza pilota, buoni per ogni circostanza in terra e in mare. Il piano quinquennale comporta un aumento di costi, storico per il Giappone contemporaneo, di quasi 24mila miliardi di yen, pari a circa 170 miliardi di euro. Mentre negli ultimi 10 anni le spese militari di Tokyo registravano una diminuzione media di -3,6 punti percentuali, questa svolta imprime un’inversione di tendenza della spesa, con un incremento di +2,6 punti percentuali.

Le cause di questa rivoluzione militare sono sotto gli occhi di tutti. La Corea del Nord, dopo la purga ai vertici del Partito e la crisi nucleare della primavera scorsa, è diventata una variabile impazzita della politica asiatica. Ci si può attendere di tutto dai colpi di testa di una dittatura che, proprio ieri, ha celebrato solennemente la morte di Kim Jong-il. Ma oltre alla Corea del Nord c’è un avversario meno scontato, ma potenzialmente molto più pericoloso, che è la stessa Repubblica Popolare Cinese. L’estensione unilaterale dello spazio aereo cinese sulle isole Senkaku, parte integrante del territorio nazionale giapponese, è un segnale d’allarme troppo forte per essere ignorato. La Cina popolare vuole espandersi nel Pacifico ai danni dei vicini, soprattutto del millenario nemico Giappone. La nuova strategia nazionale è stata elaborata apposta per contenere questa minaccia che viene dal continente.

Il problema è però quello degli effetti collaterali, che per ora non si vedono o si vedono poco. Corea del Sud, Filippine e Taiwan sono tutti Stati che nella Seconda guerra mondiale vennero invasi dal Giappone imperiale e tuttora hanno contenziosi aperti sulle isole del Pacifico con il governo di Tokyo. Sono sempre alleati degli Stati Uniti. Ma potrebbero non gradire il nuovo corso militare del Giappone. Per di più, sono tutti governi nazionalisti, proprio come quello nipponico. E se metti assieme tanti nazionalismi nello stesso spazio geografico, la miscela può risultare esplosiva.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:41