Barricate a Kiev, come nel 1991

Barricate a Kiev, la rivolta pro-europea in Ucraina sta dilagando e sta diventando una cosa seria. Non si tratta, infatti, di accampamenti e sbarramenti improvvisati, ma di barriere in legno e muratura, che proteggono i 350mila manifestanti in Piazza dell’Indipendenza da eventuali nuove cariche della polizia (dopo quella del 30 novembre scorso) e dal possibile attacco delle truppe del ministero dell’Interno. Non sono i manifestanti si proteggono, ma stanno letteralmente stringendo d’assedio le sedi istituzionali.

Il comune è stato occupato e i manifestanti ci si sono trincerati dentro, piazzando i mobili alle finestre e sbarrando tutte le entrate. La sede del governo, circondata dagli oppositori, è tuttora vuota: ai funzionari viene impedito di raggiungere il posto di lavoro. La causa immediata di questa insurrezione è la bocciatura, da parte del governo, dell’adesione alla partnership con l’Unione Europea. Il che implica anche il rigetto, da parte di Kiev, della principale condizione posta da Bruxelles: la scarcerazione della leader d’opposizione Yulia Tymoshenko. Due sono le richieste dei manifestanti: le dimissioni del presidente Viktor Yanukovich e la liberazione di Yulia Tymoshenko. Nella giornata di ieri, il governo ha optato per la via del negoziato. Il presidente della Rada (il parlamento ucraino), Volodymyr Rybak, ha tentato di calmare le acque dichiarando che il presidente Yanukovich è “dalla parte del popolo”.

Ma pochi gli credono e, soprattutto, nessuno dei leader dell’opposizione parlamentare ha voluto incontrarsi direttamente con lui. Gli eventi procedono in fretta e, quando questo articolo sarà in stampa, avranno probabilmente preso una piega differente: o cede il governo, o parte la repressione, o un compromesso pacifico. Tuttavia si può già ora affermare che la ribellione di Kiev sia qualcosa di completamente diverso da quel che abbiamo visto in Ucraina dal 2005 ad oggi. L’ultimo grande moto di piazza fu la Rivoluzione Arancione, quella del 2004, che ribaltò l’esito di elezioni fraudolente vinte dall’attuale presidente post-sovietico Viktor Yanukovich e portò al potere il duo Viktor Yushchenko (presidente) e Yulia Tymoshenko (premier), entrambi spinti da un’agenda liberale all’interno e filo-europea all’estero. Dal 2005 ad oggi l’Ucraina non ha mai realmente vissuto un periodo di quiete, attraversata da turbolenze politiche di ogni genere.

Il programma riformatore del duo arancione, che durò ben poco come alleanza politica, andò a carte quarantotto a causa delle lacerazioni interne al fronte arancione. Il post-sovietico Partito delle Regioni risalì fino a dominare la scena politica. Ma sono occorsi tre anni di governo post-sovietico di Viktor Yanukovich (e del suo governo del Partito delle Regioni) per far tornare la violenza nelle piazze. Quella vera. Il processo di democratizzazione ucraino si è bruscamente arrestato: fine della libertà di stampa, fine della libertà per gli oppositori (non solo la Tymoshenko è finita in galera), fine delle liberalizzazioni economiche.

L’Ucraina, con il beneplacito dell’incombente Russia, è tornata ad essere una riedizione in miniatura dell’Urss. E allora tornano i moti di ribellione, ormai unica espressione possibile di dissenso, esattamente come ai tempi della caduta dell’Urss. Allora come oggi l’Ue e gli Stati Uniti sembrano più interessati a mantenere la stabilità piuttosto che a promuovere la libertà. Ma nel ’91, pur da soli, i dissidenti ce la fecero ugualmente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:41