Vilnius: lunga strada fuori dall’Urss

Nessun luogo è migliore di Vilnius, la capitale della Lituania, per ospitare il summit europeo volto ad allargare la Partnership con l’Est, con le repubbliche ex sovietiche. Vilnius porta i segni della durissima occupazione sovietica, durata dal 1940 al 1990 e intervallata solo da un breve periodo (1941-44) di occupazione nazista. I poveri lituani, insomma, hanno sperimentato sulla loro pelle entrambi i totalitarismi. Gli uni, i nazisti, hanno sradicato completamente una delle comunità ebraiche più grandi d’Europa, distruggendo tutte (meno una) le numerose sinagoghe della città.

Gli altri, i comunisti, hanno devastato il Paese per mezzo secolo. La repressione più intensa si è verificata nella prima occupazione (1940-41) e poi subito dopo la Seconda guerra mondiale, quando almeno 300mila lituani sono stati deportati e uccisi. Quei massacri sono ricordati da targhe, memoriali e da una mostra permanente sulla repressione di Nkvd e Gestapo, nel palazzo (in pieno centro storico) che fu usato da entrambi gli oppressori per incarcerare e torturare i dissidenti. Trattati come base militare, avamposto contro la Nato e provincia periferica dell’impero rosso, i lituani poterono rialzare la testa solo alla fine del periodo di riforme di Gorbachev e furono i primi a lottare per la loro indipendenza dall’Urss.

Dovettero subire un ultimo sacrificio nel gennaio 1991, quando i carri armati inviati da Mosca schiacciarono i pacifici moti indipendentisti mentre il resto del mondo era distratto dalla Guerra del Golfo. L’indipendenza, poi l’adesione alla Nato e infine l’ingresso nell’Ue, per i lituani costituirono il culmine di un lento e doloroso percorso di liberazione dall’oppressione di Mosca. Liberazione religiosa (i lituani, ultimi a convertirsi in tutta Europa, sono ferventi cattolici, prova ne sono luoghi di culto e pellegrinaggio come la Collina delle Croci), economica (è uno dei Paesi più liberisti del Vecchio Continente e ha dimostrato di sapersi riprendere molto in fretta dalla crisi del 2009) e politica. Sicuramente è un buon esempio per la Nuova Europa e per tutti i Paesi che sono ancora dentro la sfera di influenza sovietica, ma anelano ad entrare nell’Ue.

Il summit di Vilnius, tuttavia, nasce zoppo. È venuto a mancare l’ospite principale: l’Ucraina ha già detto “no” all’accordo di libero scambio. Centinaia di migliaia di ucraini, soprattutto giovani, sono in piazza a protestare contro la decisione del governo di Kiev. Ma il presidente Yanukovich ha già preso una decisione che difficilmente cambierà. Il problema, da un lato, è la pressione della Russia di Putin, che intende attrarre l’Ucraina nella sua area di libero scambio. Mosca, negli ultimi mesi, era giunta ad espellere gli immigrati ucraini dal suo territorio, facendo toccare con mano a Kiev il prezzo di un’eventuale adesione alla partnership europea. E resta sempre valida la minaccia del gas: con l’inizio della stagione fredda, Putin può chiudere il rubinetto, o alzare i prezzi rendendoli proibitivi.

Dall’altra, però, l’Ue non ha saputo fornire alcun incentivo economico. “Dove sono gli aiuti europei all’Ucraina?” è la domanda retorica della Duma russa quando si tocca questa questione. E la risposta è vaga. Le infrastrutture ucraine, anche quelle per l’estrazione del gas, sono molto antiquate, ereditate dall’Urss. Servirebbe un piano di investimento notevole da parte di Bruxelles per aiutare l’Ucraina ad adeguarsi agli standard occidentali. Ma i soldi non ci sono. E tantomeno c’è interesse: per quasi nessun membro dell’Ue l’allargamento a Est è una priorità.

L’Ue può consolarsi per l’adesione all’accordo di Moldavia e Georgia. Adesioni tutt’altro che scontate, considerando che la prima è ancora mezza occupata dai russi (nella regione Transdnistria) e la seconda, mutilata di due regioni filo-russe (Abkhazia e Ossezia meridionale) ha votato per un presidente e un governo di Sogno Georgiano, un partito che alcuni considerano pro-Mosca. Non abbastanza da volere il libero scambio con l’Ue, come si è visto a Vilnius. I georgiani, come i lituani, stanno compiendo la loro lunga marcia fuori dall’Unione Sovietica e dai suoi diretti discendenti. Sarà ancora lunga.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:10