Sunniti e sciiti, Beirut nell’incubo

Due terroristi suicidi. Due grandi esplosioni. L’ambasciata iraniana di Beirut è distrutta, si contano 22 morti e 140 feriti (ma il bilancio è ancora provvisorio). Sembrerebbe la vendetta della bomba piazzata nella caserma dei marines di Beirut, avvenuta 30 anni fa e riconosciuto come primo grande attentato suicida della storia del terrorismo. Allora erano gli sciiti a “sacrificarsi” contro truppe occidentali. Oggi gli sciiti subiscono, nella loro principale istituzione di riferimento, quel che inflissero allora.

Ma non sono gli occidentali a uccidere gli iraniani. Essi subiscono per mano di altri musulmani, sunniti: l’attentato è stato rivendicato dalle Brigate Abdullah Azzam, un gruppo estremista libanese legato ad Al Qaeda. È terrorismo contro il terrore: l’attentato di ieri è la diretta risposta all’uccisione di uno dei principali leader della guerriglia sunnita in Siria. Si chiamava Abdul Qader Saleh, nome di battaglia Hajji Marea (dal nome della sua città di provenienza). È stato ucciso lunedì, nel corso di un raid aereo dei governativi siriani, presso Aleppo.

Hajji Marea, ex uomo d’affari poi divenuto guerrigliero, era una delle personalità più influenti dell’insurrezione siriana, era alla testa di un gruppo sunnita estremista, il Liwa al Tawhid. Non era sicuramente uno di quei partiti laici (sempre che ve ne siano ancora) intenti a instaurare una democrazia al posto della dittatura di Bashar al Assad. Era piuttosto uno dei gruppi membri dell’Esercito dell’Islam, assieme ad Al Nusrah (altra filiale di Al Qaeda) e altre bande armate analoghe. Hajji Marea è stato ucciso nel corso di un’offensiva dei governativi, che dura tuttora, volta alla riconquista di Aleppo, seconda città siriana e principale fronte dei ribelli. Fra le truppe governative non ci sono solo soldati regolari siriani, ma anche molti miliziani di Hezbollah, che arrivano dal vicino libano e guardie rivoluzionarie iraniane, sempre più presenti, influenti e visibili.

L’Iran, infatti, non può permettersi di perdere Assad, suo unico vero alleato nel Medio Oriente. A nemmeno 24 ore dall’uccisione di Saleh (Hajji Marea), non stupisce che sia proprio l’ambasciata iraniana a subire un duplice attentato suicida devastatore. Vista la difficoltà del bersaglio e la complessità dell’attacco terrorista, l’attentato è stato quasi certamente deciso e pianificato mesi addietro. L’esatto momento del colpo, però, può essere stato deciso nelle ultime ore, per farlo passare come rappresaglia immediata. Ciò vuol dire che la violenza terrorista non è unilaterale. Non sono solo gli sciiti che colpiscono e i sunniti che rispondono, ma due estremismi settari che si combattono simmetricamente. Questo tipo di guerra, fatta di colpi bassi, stragi di civili, attentati e persino uso di armi chimiche, è già in corso in Siria da tre anni e mezzo.

Il Libano, più o meno miracolosamente, finora è riuscito a tenersene fuori. Ma le milizie di entrambe le parti, non appena possono, si uccidono. Gli scontri nelle città libanesi sono sempre più frequenti e sanguinosi. Forse solo l’esaurimento della popolazione civile, memore di un ventennio di guerre civili, riesce a tenere assieme il Paese. Certo, l’attentato all’ambasciata dell’Iran, la prima potenza del Golfo, non sarà privo di conseguenze gravi. La bomba di ieri può segnare un punto di svolta: da oggi niente sarà più come prima in Libano.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:40