Ma Arafat è stato davvero avvelenato?

Yasser Arafat è stato avvelenato? Così pare, stando al rapporto del team di esperti svizzeri che ha esaminato i campioni della salma (riesumata nel novembre 2012) e degli oggetti personali dell’ex leader palestinese morto nel 2004. Ma la parola “fine” a questo mistero che dura da 9 anni non è ancora stata scritta, perché il professor François Bochud, anche a nome dei suoi colleghi ricercatori elvetici, può affermare che nel corpo e negli oggetti esaminati sono state trovate tracce di polonio, ma non sa dire se è proprio quella la causa del decesso: “Possiamo escludere il polonio quale causa di morte? La risposta è chiaramente no. È stato il polonio la causa certa della sua morte? La risposta è ancora no, non possiamo assumere categoricamente l’ipotesi che sia deceduto per avvelenamento”. Doppia negazione: mistero ancora fitto.

Dimostra di avere più certezze la vedova Arafat, Souha, che dichiara alla stampa: “È la prova che è stato assassinato”. Ma la stessa Souha non punta il dito contro alcuno. Non segue la linea della vecchia guardia del partito Fatah, che chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla morte dell’ex raiss e attribuisce, con sicurezza, tutta la colpa ad Israele. Souha, nell’ambiguità delle sue dichiarazioni (“molti lo volevano morto”), lascia aperta l’ipotesi che Arafat sia stato avvelenato dai suoi compagni di partito e attuali successori.

Lo lascia intendere anche il ministero degli Esteri israeliano, che resta fermamente convinto della tesi opposta (Arafat non è morto di avvelenamento, ma di malattia), però afferma che “si tratta di una sceneggiata, messa in piedi dalla vedova di Arafat a danno dei suoi successori”, come leggiamo nel comunicato di Yigal Palmor, portavoce del ministero.

Più che di “sceneggiata” si dovrebbe parlare di “casus belli”, che dovrebbe spingere la vecchia guardia fedele al raiss contro i nuovi dirigenti, proprio in un momento in cui questi ultimi stanno faticosamente avviando un nuovo round di negoziati con Israele. Kerry, in mezzo a tutta questa tensione, avverte che, in caso di fallimento del dialogo, si aspetta che riprendano le violenze. Probabilmente anche una sollevazione generale palestinese, una Terza Intifada, dopo la Seconda dei terroristi suicidi e la Prima “delle pietre”. Dal canto loro, gli israeliani ribadiscono la loro tesi: il polonio non c’entra e non c’è stato alcun avvelenamento. La tesi di Gerusalemme parla di morte per malattia, Aids o tumore non si sa.

L’esperto nucleare Ehud Ne’eman dichiara a Ynet News che del polonio non si sarebbe trovata traccia alcuna, nel caso fosse stato ingerito o assimilato dal corpo del defunto prima del 2004. L’esperto è dunque matematicamente certo che, per una questione chimica e fisica, si possa escludere l’ipotesi dell’avvelenamento da polonio. A parziale conferma di questa tesi ci sarebbe anche il rapporto russo. Periti di Mosca, infatti, stanno conducendo la loro indagine parallela sul corpo di Arafat e sono giunti alla conclusione che non vi sia traccia alcuna di polonio. Come sempre, la morte di leader e terroristi mediorientali è sempre circondata da un’aura di mistero. Almeno per Arafat non c’è la certezza che sia morto. Per altri casi, come Bin Laden, c’è addirittura ancora qualcuno che dubita sia defunto.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:46