Il ruolo del Pakistan? Ostaggio dei Talebani

Dove va il Pakistan? Il Paese islamico dell’Asia meridionale resta un magma in continuo movimento ben poco comprensibile. Ma alcuni eventi aiutano a capire quale sia la direzione che sta prendendo. L’uccisione di Hakimullah Mehsud, leader dei Talebani del Pakistan, è stata accolta da un’ondata di proteste e di indignazione pubblica in tutto il Paese. La liberazione (dietro cauzione) di Pervez Musharraf, ex dittatore militare del Paese, è avvenuta dopo molte resistenze sul caso del suo assalto militare alla Moschea Rossa (2007), epicentro della guerriglia talebana a Islamabad.

Mentre c’erano state molte meno resistenze per permettergli una libera uscita sugli altri capi di imputazione (fra cui l’assassinio di Benazir Bhutto). Toccare i Talebani, dunque, sta diventando sempre più pericoloso. Non solo militarmente, ma anche legalmente. La morte di Hakimullah Mehsud avrebbe dovuto essere accolta come una liberazione. L’uomo, trentenne e ottimo combattente, dichiarava di voler proseguire la sua guerra fino all’imposizione della shariah in tutto il Pakistan. Sono i suoi uomini ad aver cercato di assassinare. Sparare a una ragazzina di 14 anni non è proprio un atto di eroismo, ma Mehsud, in quell’occasione, non si era tirato indietro, aveva rivendicato orgogliosamente l’attentato. Non contento: aveva espresso “felicità” per la mancata vittoria del Nobel per la Pace di Malala, che era una delle candidate favorite.

Questo per spiegare di chi stiamo parlando. Preso il comando dei Talebani nel 2009, rilevando Baitullah Mehsud (ucciso in un raid americano), Hakimullah è stato il protagonista della guerriglia nel Nord del Pakistan, al confine con l’Afghanistan. Suoi i vari attacchi contro i convogli della Nato e gli attentati nelle città pakistane. Suo, a quanto risulta, anche il piano in cui un attentatore suicida giordano uccise sette agenti della Cia nel gennaio del 2010. Anche quando combatteva agli ordini dell’altro Meshsud (Baitullah) si era distinto sul campo nella guerriglia contro i soldati regolari di Musharraf. Nella campagna del 2007, la sua milizia aveva catturato 300 prigionieri.

Il 1 novembre scorso è stato ucciso da un drone statunitense. Sulla sua testa pendeva una taglia da 5 milioni di dollari. La reazione pakistana, invece che un sospiro di sollievo, è stata, appunto, un’ondata di indignazione. Oltre alle manifestazioni di piazza, con i consueti roghi delle bandiere a stelle e strisce, si è registrato l’imbarazzo del governo Sharif a Islamabad. E anche quello di Karzai, in Afghanistan. Entrambi, a quanto risulta, stavano trattando con Mehsud, per la “stabilità” nella frontiera insanguinata fra i due Paesi.

In questo contesto avviene la liberazione, su cauzione, di Pervez Musharraf. Anche qui, l’accusa che meno gli si voleva scontare era quella riguardante l’assalto alla Moschea Rossa di Islamabad, un vero e proprio stato nello stato dove gli integralisti islamici avevano imposto il proprio dominio e la propria legge. Nel 2007, prima che l’esercito di Musharraf intervenisse, i quartieri circostanti la Moschea Rossa erano diventati un regno del terrore, dove i negozi non conformi alla legge coranica venivano chiusi con la forza, le donne dovevano girare in burqa e gli uomini dovevano portare la barba. L’intervento militare causò un centinaio di morti, dopo una lunga e dura guerriglia metropolitana.

Il governo ha ripristinato l’ordine con gli unici metodi possibili. E per questo Musharraf viene processato? L’ex dittatore era anche accusato per l’omicidio di Benazir Bhutto, ex premier lanciata sulla via della sua rielezione dopo il ritorno da un lungo esilio. E anche per l’omicidio del leader della minoranza del Balochistan, Nawab Akbar Bugti, un evento che aveva scatenato una lunga scia di contestazioni e scontri nella metà degli anni 2000. Ma in questi due processi aveva già ottenuto la libertà su cauzione, con molti meno problemi. A giugno, il governo Sharif aveva cercato di denunciare l’ex dittatore anche per alto tradimento, per aver sovvertito la costituzione con il suo colpo di Stato. In questo caso, però, l’accusa è stata lasciata cadere, forse per timore di una dura reazione militare.

Quattordici anni fa, l’ultima volta che Sharif aveva processato un alto ufficiale dell’esercito, era stato, giustappunto, rovesciato dal golpe di Musharraf. Si ha dunque la netta sensazione che il Pakistan sia retto da poteri forti che si minacciano reciprocamente. Solo la tenuta di questo equilibrio del terrore fa sì che il Paese non imploda in una guerra civile vera e propria, anche se il rischio è sempre latente. Ma, in questo equilibrio, i Talebani si sono ricavati un proprio grande spazio di manovra. E una notevole capacità intimidatoria.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:34