Putin è una spia, ma che novità!

Allora: un presidente russo, con una carriera alle spalle nel Kgb fino al grado di colonnello, ti invita a “casa sua”, a San Pietroburgo, e alla fine di un vertice ti regala un gadget elettronico. Cosa ti potresti aspettare, se non una microspia per intercettare le tue conversazioni? Stupisce, semmai, lo stupore di tanti capi di Stato e di governo europei che sono stati beffati in questo modo così banale e dalla persona più sospetta che vi sia sulla terra. Stupisce che solo Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio d’Europa (il meno influente di tutti i “big” presenti a San Pietroburgo) abbia pensato di far controllare quei gadget, una chiavetta usb e un caricatore per cellulari.

È dal risultato positivo di quel test che è risultato il trucco: signore e signori, siete tutti in onda sulle frequenze di Mosca! Qualunque cosa sia stata detta o scritta, col cellulare o col computer è ora negli archivi del Cremlino e della Lubjanka, intramontabile sede del Kgb, poi Fsb. Stupisce che non si sappia quanta ossessione per il controllo vi fosse nell’Unione Sovietica, dove portinai, facchini, custodi, vicini di casa erano tutti potenziali informatori, mentre le microspie erano infilate ovunque, anche dentro le mura del Cremlino. La vicenda è talmente banale, brutale, lampante e grottesca che pare una farsa organizzata a tavolino per far ridere il pubblico e distrarre dai veri problemi: la tensione mai sopita fra Russia e Ue e lo spionaggio elettronico degli Usa in Europa e nel resto del mondo. Stupisce come qualunque vicenda di spionaggio legata alla Russia abbia questa teatralità.

C’è stata Anna “la rossa” Chapman, vera Bond Girl materializzatasi nel mondo reale, che carpisce i segreti economici di New York andando persuadendo, a modo suo, i finanzieri. C’è stato l’arresto in pubblico della “spia della Cia”, piluccata a Mosca con baffi finti, parrucca, soldi e torcia elettrica, manco fosse l’ispettore Clouseau. C’è il giro di spioni in Germania che mandava video di auto e motori, con le informazioni criptate dentro. E adesso, abbiamo pure il gadget che ti spia. Fantastico. Se non ci fosse Putin bisognerebbe inventarlo.

 

È meglio di una fiction. Oltre al sospetto che sia tutta una montatura, sorge spontanea una domanda: e se fosse tutto vero? Bisogna entrare nella mentalità dei servizi segreti sovietici per capire certe cose. Per realizzare che loro, a Yasenevo e alla Lubjanka, si sono sempre sentiti intelligenti, più intelligenti degli altri, ma erano anche gli unici a crederlo. La storia dello spionaggio sovietico è costellata da grossolani errori, commessi in perfetta buona fede. Dal dissidente bulgaro Georgi Markov, assassinato con un ombrello in grado di sparare pallini avvelenati (come se non fosse possibile individuare il veleno) al moderno dissidente Litvinenko ucciso con il polonio nel tè (come se non lasciasse tracce radioattive lungo tutto il percorso, fino a risalire al killer).

Sono tragedie internazionali, assassini commessi con grossolana brutalità, che si sommano a drammi interni alla Russia. Come la “liberazione” del teatro Dubrovka, quando le truppe speciali dei servizi segreti militari, per addormentare i terroristi, finirono per avvelenare anche tutti i loro ostaggi. Vladimir Putin, corteggiato da destra e sinistra, è l’uomo “più potente del mondo”, secondo Forbes. Il magazine americano, che ogni anno stila la classifica “The most powerful people in the world”, quest’anno ha preferito “il leader autocratico di un’ex superpotenza al comandante in capo “ammanettato” del Paese predominante al mondo”, ovvero Barack Obama, primo nel 2012. Esaltato con questi toni dalla stampa internazionale, Putin crede veramente in se stesso e nella sua intelligenza.

Regalando gadget-microspia, molto probabilmente, era convinto di farla franca e carpire chissà quali grandi segreti dal telefono di Van Rompuy e di Letta. Ma speriamo fosse solo tutta una grande farsa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:40