Lo scandalo dello spionaggio della National Security Agency americana (Nsa) continua ad espandersi. Sono state rivelate altre intercettazioni a strascico: 60 milioni di comunicazioni in Spagna. E anche dal Giappone iniziano ad emergere notizie sulla collaborazione del governo di Tokyo, che avrebbe permesso agli agenti della Nsa di infilarsi nei nodi della comunicazione del Pacifico occidentale. Lo scandalo dello spionaggio della Nsa sta però anche creando un precedente pericoloso. Finora il senso comune politico suggeriva che “non puoi intercettare alcuno senza autorizzazione”.
Farlo comporta una punizione, politica o giuridica. In questo caso, però, nessuno pare intenzionato a minacciare un impeachment nei confronti di Barack Obama. Nemmeno i Repubblicani, che sono pronti a sfidarlo su qualunque riforma, mostrano una certa riluttanza ad andare contro il presidente. Anch’essi si schierano dietro al ragionamento del “right or wrong, our country”: è in ballo la sicurezza nazionale, dunque va bene così.
Il problema, però, è che non si tratta solo di sicurezza nazionale, come scrivono anche (nei loro ultimi editoriali) Vittorio Feltri e Giuliano Ferrara. Una volta assodato che l’amico ci ascolta, quel che ascolta può essere usato in modo proprio o improprio. Non sappiamo se le conversazioni della Merkel, o di altri governi, fossero utili per combattere il terrorismo. Sappiamo, però, che, una volta intercettate, Washington ha nelle sue mani una serie di informazioni politiche e industriali riservate. C’è il fondato sospetto che la Nsa faccia spionaggio industriale, anche a nostro danno.
C’è anche il fondato sospetto che la stessa amministrazione democratica raccolga dati e informazioni su gruppi politici avversari, come l’organizzazione cattolica della Manif Pour Tous e le Ong Pro-life e Pro-family, contrarie all’agenda pro-gay di Barack Obama: è un allarme lanciato, con lettera aperta, dal deputato Luca Volontè. D’altra parte, non la Nsa, bensì l’Irs statunitense (l’equivalente dell’Agenzia delle Entrate) spiava i membri dei gruppi Tea Party, per motivi politici, non puramente fiscali. E quindi non abbiamo veramente niente da temere? Lasciare impunito o giustificare lo spionaggio della Nsa ribalterebbe il principio fissato dall’altro precedente: il Watergate. In quel caso erano spiati membri del Partito Democratico, rivali del presidente in carica Richard Nixon.
Quando lo scandalo emerse, grazie a un’inchiesta giornalistica e a un altro “gola profonda” (l’equivalente dell’attuale Snowden), Nixon dovette dare le dimissioni, per evitare l’impeachment. Da notare: non valse la scusa del “non ne sapevo nulla”. Nixon continuò ad affermare di non essere stato lui a dare quegli ordini e di esserne all’oscuro. In effetti, anche stando alla storiografia più recente, Nixon non ordinò tutte le operazioni di spionaggio della sede democratica, in alcuni casi diede un tacito assenso. Contò, però, la responsabilità oggettiva. Il comandante in capo comanda ed è responsabile di quel che fanno i suoi uomini. Barack Obama, a quarant’anni di distanza dal Watergate, usa esattamente la stessa scusa: “non ne so nulla”.
Per lui non conta la responsabilità oggettiva? Oppure si distingue tra ciò che può essere spiato e ciò che è proibito spiare? Intercettare le conversazioni dei Democratici è più grave che spiare i Tea Party, Angela Merkel, il presidente messicano, 70 milioni di chiamate fra francesi e 60 milioni di chiamate fra spagnoli, non si sa ancora quante fra italiani? Nel primo caso c’è stato un quasi-impeachment e una campagna mediatica anti-Nixon che dura tuttora. Proprio in questi giorni, a Milano, è a teatro “Frost/Nixon: il duello”, tratto dallo stesso script da cui è stato realizzato il famoso film di Ron Howard del 2008. L’ex presidente repubblicano, caduto in disgrazia, è sempre e comunque il simbolo dell’abuso di potere. L’attuale presidente democratico fa molto di più. Nixon in confronto era un dilettante. Ma il potere di Obama è “abusato a fin di bene”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:42