Il successo di Eataly brilla oltreoceano

Qualche anno fa apparvero in televisione gli spot di un’azienda di grande distribuzione che suscitarono grande attenzione da parte del pubblico. Il compianto poeta dichiarava entusiasta che “l’ottimismo è il profumo della vita”. Dietro l’azienda che decise di promuoversi e identificarsi con questo messaggio c’era Oscar Farinetti, che poi, da bravo imprenditore seriale, finita quell’esperienza, diede vita ad Eataly. Lo presero probabilmente per matto, quando disse di voler aprire qualcosa che portasse l’eccellenza del cibo e del vino italiano in tutto il mondo, esaltando le diversità, le particolarità, le tradizioni, facendo quello che nessuno fino ad allora era riuscito a fare, mettendo insieme migliaia di produttori e superando la parcellizzazione produttiva che è al tempo stesso la grande ricchezza ma anche il grande problema di chi in passato cercò di fare un’operazione simile.

Oggi Eataly è una grande realtà italiana, presente nel nostro Paese e all’estero: un esempio, purtroppo molto raro oggigiorno, di come entusiasmo e caparbietà, visionarietà e amore per l’Italia siano ancora oggi gli ingredienti per fare successo in modo giusto, qui, ora. Oscar Farinetti è un vulcano, che ha particolarmente a cuore gli Stati Uniti. Festeggiati a settembre i tre anni di Eataly New York – un gioiellino che fattura 85 milioni di dollari all’anno, e che lo scorso anno è stato considerato la terza attrazione più visitata della grande mela, prima del Moma – il progetto si allargherà quest’anno anche a Chicago, mentre in Italia si sta posizionando ormai in diverse regioni italiane, dove esalta le eccellenze locali insieme a quelle nazionali. Lunedì scorso Farinetti ha celebrato il Columbus Day proprio a New York insieme a due giganti della cultura italiana, Renzo Arbore e Alessandro Baricco. E il tormentone di Eataly del 2014 sarà un chiaro tributo allo “Yes we can”: il messaggio di Farinetti sarà “Ci riesco”, che è anche l’acronimo di “coraggio” e “immaginazione” e poi “responsabilità”, “innovazione”, “energia”, “semplificazione”, “coscienza” e “onestà”.

Oscar, lei è uno dei più innovativi tra gli imprenditori italiani di grande successo anche all’estero. Eataly è ormai sinonimo della qualità italiana nell’enogastronomia, e dimostra come si possa abbinare la qualità a 360 gradi insieme con la distribuzione non di nicchia: un’impresa che fino a qualche anno fa sembrava impossibile. Molti italiani hanno un prodotto ottimo, ma trovano difficoltà nel confezionarlo, promuoverlo e distribuirlo nel mercato statunitense. Lei che è il papà di Eataly, che consiglio darebbe loro per entrare in America?

Ciò che mi sento di dire è di tirarsi su le maniche e metterci inventiva e onestà! E poi vorrei dir loro di avere orgoglio per il nostro Paese e di crederci. La crisi, e non scherzo, è un’opportunità per inventare, mentre il benessere impigrisce. Nel giro di dieci anni l’Italia non solo sarà fuori dal tunnel, ma sarà leader in Europa. Oggi esportiamo 31 miliardi in agroalimentare. Bene. Devono raddoppiare in tre anni. Al culmine del processo potremmo portare a casa 180 miliardi di euro creando 2 milioni e 800mila posti di lavoro!

A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, il problema della contraffazione definito “Italian sounding” – per cui negli Stati Uniti si trovano spesso prodotti apparentemente italiani ma in realtà prodotti altrove che richiamano nel nome le originali eccellenze italiane – è anche un tributo al Made in Italy. In realtà, però, è un danno economico e di immagine molto grande: secondo la Coldiretti l’italian sounding è un affare da 60 miliardi di euro. C’è qualcosa che il nostro Paese dovrebbe fare e che non ha ancora fatto, secondo lei, per combattere questo problema?

Si deve ripartire dal fare rete insieme. E penso a reti trasversali e non a corporazioni verticali. Noi italiani dobbiamo imparare a fare rete, ad unirci, a ragionare per grandi temi e con lungimiranza. Si potrebbe creare, ad esempio, un marchio collettivo per caratterizzare i veri prodotti “Made in Italy”. Io ho già delle idee in proposito: una mela verde, bianca e rossa sui nostri migliori e autentici prodotti. La mela tricolore ci può fare raddoppiare le esportazioni di cibo italiano nel mondo dove c’è una voglia immensa di cibo italiano vero. Una mela che possa significare no Ogm, no concimi chimici, no diserbanti. Tutto questo metterebbe fine al mercato di prodotti che pretendono di essere italiani (italian sounding) pur non essendolo.

A fine maggio i salumi delle zone del nord Italia sono finalmente stati tolti dalla black list che impediva loro di essere esportati negli Usa. A chi si deve questo successo, e crede sarà possibile ottenere altri successi come questo, magari anche per prodotti provenienti dal resto d’Italia?

Credo che il mercato statunitense si stia pian piano aprendo a molti dei nostri prodotti tipici ed è per questo che in questo momento di crisi si deve puntare all’estero. Noi italiani siamo lo 0,83 % della popolazione mondiale, ma il rimanente 99,17 dei terrestri ci adora e adora mangiare italiano. Diamoci da fare!

Eataly è il punto di riferimento per il cibo italiano a New York: tra l’altro si trova a fianco ad un altro famoso luogo newyorchese oggi di proprietà italiana, il Flatiron Building. In autunno aprirete a Chicago? E avete in programma di arrivare anche sull’altra costa?

L’apertura di Chicago è prevista per la fine di novembre. Abbiamo anche un progetto per Los Angeles (2015) e uno per Philadelphia (2016), dove apriremo in un favoloso edificio proprio di fronte al luogo in cui è stata firmata la dichiarazione d’indipendenza americana: praticamente una meta di visita fissa, almeno una volta nella vita, per ogni americano.

Recentemente Eataly ha aperto anche a Bari, dove per aver dato lavoro a tanti ragazzi del luogo, siete stati paradossalmente criticati da qualche conservatore che non capisce come il mondo cambi e si debba ringraziare chi dà opportunità investendo in prima persona. Ha sentito di essere stato lasciato solo in questa spiacevole situazione? Immaginiamo che non ci siano stati simili problemi con la vostra sede di New York.

Non di essere stato lasciato solo ma di essere stato attaccato in modo ingiustamente violento. Comunque ciò che conta è che ora si sia tutto risolto. Stabilizzeremo subito 132 lavoratori e poi forse anche altri. A New York le condizioni sono molto diverse.

La sua avventura di successo precedente a Eataly l’aveva vista protagonista della promozione di un famoso spot in cui si inneggiava all’ottimismo. È un messaggio del quale abbiamo assoluto bisogno, ed è un messaggio molto “americano”. Come facciamo a farlo diventare anche “italiano”?

I giovani, italiani e non, devo essere ottimisti e avere coraggio. Un coraggio bello e pulito fatto non solo di superamento delle paure, forza d’animo, determinazione nell’agire, ma anche accompagnato da: capacità di analisi, fondamentale, studio attento dello scenario, tenacia e per finire una caratteristica che pochi giovani hanno, la predisposizione al dubbio. Questa è necessaria per farsi le giuste domande ed eventualmente aggiustare il tiro. Recentemente è uscito un libro che ho scritto proprio per raccontare delle belle storie di coraggio di imprenditori del mondo del vino che ce l'hanno fatta “Storie di coraggio” edito da Mondadori. Il messaggio che vorrei dare ai giovani è che è facile imparare a diventare coraggiosi. Il metodo migliore è guardare a storie di coraggio di persone normali che attraverso il coraggio sono diventate speciali. Come spesso avviene, l’esperienza, cioè osservare la vita, può servire più che studiare. E nel caso del coraggio è sicuramente così.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:21