Debito Stati Uniti, ma quale vittoria?

Negli Usa ha un valore più simbolico che pratico l’accordo raggiunto al Congresso su debito pubblico e riapertura del governo federale. Di fatto non c’è alcuna intesa sui contenuti, ma solo un rinvio delle date di scadenza. Se non ci fosse stato questo rinvio, oggi il governo federale avrebbe già fatto default, perché il debito pubblico avrebbe superato la soglia consentita dalla legge.

Il tetto del debito pubblico (che ha raggiunto quota 16.700 miliardi di dollari) sarà innalzato, ma provvisoriamente, fino al 7 febbraio 2014. Il governo federale, chiuso dallo “shutdown”, riaprirà tutte le sue attività, ma solo fino al 15 gennaio. Il tempo necessario per continuare i negoziati sulla riforma della sanità (su cui è scattato lo shutdown), le tasse e la spesa pubblica. Se l’accordo non ci sarà, lo shutdown ritornerà a metà del primo mese del 2014, così come si arriverà al default il prossimo 7 febbraio.

Come mai tanta risonanza, sulla stampa italiana, oltre che su quella statunitense, per un non-accordo come questo? Perché è una vittoria tattica di Obama, che sta simpatico alla maggioranza assoluta degli editorialisti? Sicuramente c’è anche questo effetto psicologico, ma non basta a spiegare tanta pubblicità. Perché è una sconfitta dei Repubblicani, in particolare di quelli più inflessibili del Tea Party, che stanno antipatici alla maggioranza assoluta degli editorialisti? Vedi sopra. Perché i mercati salutano questo accordo con un rialzo in tutte le borse? Certamente, ma le borse sono molto fluttuanti e il rialzo di ieri non segna un trend stabile. L’importanza dell’accordo e la grande risonanza che ha sulla stampa è soprattutto politica.

“Un esempio anche per l’Europa” scrive, festante, il giornalista Gad Lerner. Quale esempio? Poter spendere, poter sforare ogni limite di debito. Questo è ciò che vuole la classe politica e intellettuale italiana, d’accordo con quella di altri Paesi mediterranei in crisi, contro il “rigore teutonico”. Già, perché gli Stati mediterranei, fra cui il nostro, scoppiano di debiti e spesa pubblica fuori controllo, oltre a soffocare sotto una pressione fiscale mai raggiunta prima. Ma la colpa è del “rigore”, cioè di chi ci suggerisce “ehi, vedete di spendere un po’ meno”.

È interessante constatare come le parti tradizionali si siano completamente invertite. I “responsabili” sono coloro che si indebitano oltre la capacità dei loro contribuenti, che spendono e aprono i cordoni della borsa anche quando i soldi son finiti. I “populisti” del Tea Party, invece, sono quelli che mirano al pareggio di bilancio, non vogliono alzare il tetto del debito e premono per tagliare la spesa pubblica. Nell’Era della fantasia al potere, come quella che sta vivendo l’America di Obama, la politica non si fa con i bilanci. Si spendono tutti i soldi necessari per la “crescita” e per la “riforma della sanità”.

Se poi i dollari finiscono e la crescita non c’è? C’è la Fed pronta a stamparne e metterne in circolazione tanti altri. Pazienza che questa stamperia porti a svalutazione e inflazione e, nel frattempo, contribuisca a creare pericolose bolle finanziarie pronte a scoppiare. Nell’Era della fantasia al potere, inoltre, il “debito non è un problema”: lo dice anche il Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, ispiratore delle politiche del Premio Nobel per la Pace, Barack Obama. Se poi non lo si riesce a ripagare? Lo si svaluta.

E se non si riesce comunque a ripagare? Si condona. Lo abbiamo fatto con gli Stati africani, figuriamoci con la prima potenza del mondo. I creditori, nazionali o stranieri, si rassegnino: non rivedranno i loro soldi. Obama ha vinto, come ripetono i media americani e nostrani, perché è riuscito, con cocciuta determinazione, a far passare una manovra finanziaria che indebiterà il governo federale degli Stati Uniti oltre ogni limite sinora posto dalla legge.

Ha vinto perché è riuscito a non porre freni alla spesa pubblica, che ha già battuto tutti i record delle amministrazioni precedenti. Sta vincendo sull’Obamacare, una riforma della sanità che avrà il piacevole effetto collaterale di far pagare ai cittadini polizze più care, oltre a tasse più alte. Nel mondo alla rovescia governato dalla fantasia al potere, tutto ciò è una “vittoria”. Chi non è d’accordo è un pericoloso e irresponsabile populista.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:42