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Stati Uniti e Giappone rinnovano la loro alleanza, dopo i colloqui del cosiddetto “2+2” avvenuti a Tokyo fra i ministri della Difesa di entrambi i Paesi. Non si tratta di una pura formalità (Usa e Giappone sono alleati da più di mezzo secolo), ma di una seria revisione della strategia nell’Oceano Pacifico. L’alleanza rinnova il suo impegno “… alla sicurezza del Giappone con tutta la capacità militare degli Stati Uniti, sia convenzionale che nucleare. Entrambe le parti, inoltre, stabiliscono una visione strategica, che, riflettendo i nostri comuni valori di democrazia, governo della legge, mercato libero e rispetto per i diritti umani, promuova in modo efficace la pace, la sicurezza, la stabilità e la prosperità economica nella regione Asia-Pacifico”.

Come si articola questa strategia? Per gli Stati Uniti ci sono cambiamenti relativamente minori come il “riallineamento” delle forze aeronavali e dei marines, nelle basi nipponiche. Ma, per quanto riguarda il Giappone, il cambiamento è drastico, una rivoluzione: “Il Giappone – si legge nella dichiarazione congiunta – si prepara a costituire il proprio Consiglio di Sicurezza Nazionale e a pubblicare la sua Strategia di Sicurezza Nazionale. Inoltre, sta riesaminando le vasi legali della sua politica di difesa, compreso il modo di esercitare il suo diritto alla difesa collettiva, aumentando il suo budget per la difesa, rivedendo le sue linee guida per il programma di difesa nazionale, rafforzando la sua capacità di difendere il suo territorio sovrano e incrementando i suoi impegni regionali, compreso il rafforzamento delle sue capacità a fronte dei Paesi dell’Asia sudorientale”. Cosa vuol dire tutto ciò?

Che per la prima volta, dal 1945, il Giappone potrà diventare di nuovo una potenza regionale asiatica, dotata della capacità e del diritto di intervenire all’estero. Il Giappone era una grande potenza. Lo divenne dopo aver sconfitto i russi nella guerra del 1904-5 e si espanse in Corea, Manciuria, Cina orientale, Sud Est asiatico. Conquistò territori dopo territori, nel nome della creazione di un’“area di co-prosperità”, un eufemismo per definire il suo Impero. Una volta sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale, dopo le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il Giappone era stato costretto, dalle potenze vincitrici, a redigere una costituzione pacifista e a ridurre l’esercito ai minimi termini. Durante la Guerra di Corea (1950-53) il territorio nipponico aveva funzionato meramente come una retrovia per le forze americane: una gigantesca e inaffondabile portaerei da cui decollavano i bombardieri diretti alla Corea del Nord e un grande snodo di rifornimenti, ospedali, officine, in cui le truppe di terra sbarcavano, si riorganizzavano e smistavano, pronte per ripartire per il fronte.

Nel 1977 furono fissate nuove “linee guida” per la cooperazione nippo-americana, quelle che ora si vogliono rivedere. Alla fine degli anni ’70, il grande rafforzamento della Flotta del Pacifico sovietica fece temere la possibilità di uno sbarco dell’Armata Rossa sull’isola settentrionale di Hokkaido, collocata a ridosso dell’Urss, dentro il mar di Okhotsk, in una posizione strategica quanto rischiosa. Usa e Giappone si prepararono assieme per contrastare questa possibilità di invasione, che mai avvenne. Tuttavia, sino ad ora, il Giappone ha mantenuto forze considerevoli proibendo loro di agire fuori dai suoi confini. Il principio è quello dell’auto-difesa e tutte le forze nipponiche sono definite come “forze di auto-difesa”. La Costituzione attuale è la stessa del dopoguerra. Vieta la “difesa collettiva”, perché la ritiene una giustificazione per aggressioni militari. Adesso è tutto in discussione. La “difesa collettiva”, come si legge nella dichiarazione, sta per essere reintrodotta. I giapponesi potranno costruire una nuova area di co-prosperità, questa volta protetti dagli Stati Uniti.

Non più per espandere un Impero, ma per garantire stabilità e democrazia. Come mai si assiste a un cambiamento così drastico? La causa locale è l’emergere della politica nazionalista di Shinzo Abe, il premier nipponico che promette una forte difesa nazionale. Ha vinto le elezioni, perché i vicini del Giappone sono sempre più pericolosi. Con una Corea del Nord che ha già testato più volte le sue armi nucleari e una Cina che contende isole e scogli a tutti i suoi vicini (Giappone compreso) per imporre la sua supremazia nel Pacifico, Tokyo ha chiesto e ottenuto il permesso di riarmarsi. Dal punto di vista degli Stati Uniti, il rilancio della potenza nipponica conviene. Perché, contrariamente alle nazioni asiatiche, gli Usa stanno disarmando e risparmiando su tutti i fronti. Conviene, dunque, avere un alleato forte, regionale, che agisca in propria vece. D’altra parte i tempi dell’imperialismo sono lontanissimi, il governo Abe è, sì, conservatore, ma non ha nulla a che vedere con i militaristi degli anni ’30 e ’40.

Gli Usa possono dormire sonni tranquilli, per questo. Il rischio di una rinnovata presenza giapponese in Asia, tuttavia, è difficile da sottovalutare. Se c’è una cosa che infiamma il nazionalismo più estremo in Cina (ma anche nell’altra Cina di Taiwan e in Corea del Sud) è proprio il ricordo e il timore di un rinnovato imperialismo cinese. Il braccio di ferro fra Cina e Giappone per il controllo delle piccole isole Senkaku, è sempre accompagnato da manifestazioni nazionaliste di massa, in cui i cinesi ricordano le invasioni e l’occupazione subite dal 1931 al 1945. Con tutti i suoi terribili episodi genocidi, fra cui il noto “massacro di Nanchino” (1937) che i libri di storia giapponesi tuttora negano. Persino la Corea del Sud, alleata d’acciaio degli Stati Uniti, potrebbe sollevare non poche obiezioni, per usare un eufemismo. La liberazione dal Giappone e il brutto ricordo dell’occupazione, durata mezzo secolo, sono parte integrante dell’orgoglio nazionale di Seul, a prescindere dalle alleanze e dalla paura per il comune nemico nordcoreano. Nei prossimi anni assisteremo a una prova fondamentale. Gli Usa hanno fretta di ritirarsi e lasciar fare agli alleati. L’equilibrio che seguirà al loro ritiro potrebbe essere molto più fragile di quanto si pensi.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:55