La vittoria di Pirro della dura Cancelliera

Mentre tutti plaudono al successo elettorale della Cancelliera Angela Merkel nella Germania, occorre forse riflettere su d’un elemento che rende questa affermazione, sotto un certo profilo, una vittoria di Pirro: il non voler accettare il voto disgiunto coi liberali democratici dell’FDP, cioè consentire che gli elettori liberali votassero per il loro partito volgendo il voto a favore della CDU-CSU qualora in quel collegio i liberali non avessero conquistato il seggio, possibilità che la legge elettorale tedesca consente se i due partiti s’accordino su ciò, ha portato i democristiani conservatori della Cancelliera sull’orlo della maggioranza assoluta, ma non ha consentito ai liberali democratici della FDP di raggiungere la soglia di sbarramento del 5% per entrare nella Camera dei deputati federale.

Ciò significa che la Cancelliera si trova senza gli alleati coi quali ha costruito la politica che la ha portata a stravincere, e qualunque altro alleato, soprattutto la grande coalizione coi socialdemocratici, porterebbe ad un cambiamento di politica fondamentale in alcuni campi, ed essenzialmente la politica nell’Unione europea. Tanto deve essere di monito per la Cancelleria Germanica proprio in questo settore. L’Unione europea non può essere solo l’Euro.

È vero che la Germania ha imposto il modello stesso di Banca Centrale Europea, indipendente dalla Commissione di governo dell’Unione esattamente come lo è la Banca Federale Tedesca rispetto la Cancelleria, perché i Tedeschi, spaventati dal ricordo della spirale d’inflazione che contribuì a spianare la strada ai successi elettorali dei Nazionalsocialisti di Adolf Hitler nella Repubblica di Weimar, non vollero che la Banca Centrale fosse la banca d’un governo che potesse chiedere di stampare carta moneta per coprire il debito pubblico.

È altrettanto vero, però, che nell’età della globalizzazione la struttura privatistica della Banca Centrale Europea pone la sua politica monetaria alla mercé di potentati usurocratici transnazionali non controllati da nessuna istanza democratica, come sottolineò il più grande sociologo tedesco del secondo millenovecento, Ralf Dahrendorf, che militò in Germania proprio per quel partito liberaldemocratico oggi fuori dalla Camera dei deputati federale.

Ciò mentre l’Unione europea, per l’impossibilità d’un proprio intervento politico e militare anche nelle emergenze di teatri ai proprî confini, come il Nord Africa ed il Medio Oriente, bloccata come è dalla farraginosa macchina decisionale intergovernativa, dove si discute su tutto e si decide su nulla, di fatto non esiste come Potenza internazionale, nel miraggio disgregatore d’una passata sovranità d’alcuni Stati membri, come la Francia e la Gran Bretagna.

In politica, talora, anche le pulci hanno la tosse. Insomma, occorre superare lo stesso Dahrendorf il quale, constatato il pericolo per la democrazia insito nei processi di globalizzazione, poi si limitò a dichiararsi nostalgico di quelli Stati nazionali in cui vide attuata la più alta rappresentanza democratica che s’ebbe nella storia. La Germania ha patito troppo, nel secolo scorso, per l’infatuazione nazionalistica dal non concepire, da Konrad Adenauer in poi, la propria ricostruzione se non in un ambito comunitario europeo.

Per questo Angela Merkel, confermata Cancelliera, dovrebbe trarre lezione dall’aspetto pirrico della sua vittoria interna, e capire la debolezza di chi stravince cancellando gli alleati. La Germania ha bisogno più degli altri della contrassicurazione politica che costituisce per gli Stati membri l’Unione europea, che per esistere ha bisogno dello sviluppo sociale di tutti gli Stati membri che la costituiscono, e d’una unità politica che solo il passaggio della politica estera e di difesa dal metodo intergovernativo al metodo comunitario potrebbe realizzare. Altrimenti mai sia che proprio alla Germania, dal mediterraneo profondo, accadesse di vivere l’incubo d’un ritorno al passato in un’Alba Dorata.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:55