Corea del Nord, la pace è guerra

“La guerra è pace” recitava uno degli slogan del regime creato dalla fantasia di George Orwell nel romanzo “1984”. Lo Stato più simile a questo regime immaginario, sul nostro pianeta reale, è la Corea del Nord. Anche nel linguaggio, ci ha abituato a situazioni in cui la propaganda del regime fa a pugni con la realtà. Spesso quello che dice il regime è esattamente l’opposto di quel che ha intenzione di fare. “La pace è guerra”: la notizia del giorno è la riapertura di Kaesong, l’impianto industriale gestito in comune da 123 aziende della Corea del Sud e operai della Corea del Nord, in territorio settentrionale. Era chiuso da aprile, allo zenit dell’ultima crisi nucleare fra le due coree. La sua riapertura è un segnale di pace. E fa il paio con l’inno sudcoreano suonato a Pyongyang, in occasione dei campionati asiatici di sollevamento pesi: la vittoria di due atleti di Seoul è stata salutata con inno e alzabandiera e inno, trasmessi in diretta dalla Tv di Stato. Un idillio.

 Dunque dobbiamo veramente preoccuparci, perché i periodi di distensione, per i nordcoreani, sono sempre stati usati come una cortina fumogena alle crisi più gravi. “La guerra è pace”: lo scorso aprile, con il lancio di un missile balistico sperimentale e lo scoppio di un’atomica sotterranea, il regime di Pyongyang ha violato due risoluzioni Onu che vietano missili balistici e test nucleari. La tensione si era alzata ai massimi livelli, con la chiusura della frontiera fra Nord e Sud Corea, degli impianti industriali comuni costruiti a Kaesong, l’interruzione delle “linee rosse” di emergenza (istituite per evitare lo scoppio accidentale di conflitti), la denuncia dell’armistizio e una serie di dichiarazioni pubbliche con cui il Nord si diceva pronto alla guerra. Il mondo temeva che scoppiasse una seconda guerra coreana. Ma gli addetti ai lavori non ci credevano e avevano ragione. La “guerra è pace” per i dirigenti nordcoreani. Pyongyang ci ha già abituato a questo tipo di retorica, dal 1994 ad oggi, da quando, cioè, ha iniziato a manifestare serie intenzioni di dotarsi di armi nucleari.

La dinamica è sempre uguale, anche se cambiano i dettagli, il tipo di provocazione militare e il contenuto delle dichiarazioni: il regime stalinista alza i toni, “fa il pazzo”, lascia intendere che potrebbe fare qualunque cosa, anche lanciare le sue armi nucleari, in ogni momento, senza preavviso. La tensione diplomatica si alza, la Corea del Sud risponde con manovre militari, la diplomazia internazionale è costretta a rimettersi al lavoro. Il risultato è sempre lo stesso: un nuovo periodo di disgelo diplomatico e nuove risoluzioni di condanna, ma successivo invio di nuovi aiuti umanitari alla Corea del Nord. E il regime stalinista, piegato da una carestia ormai pluri-decennale, ha bisogno soprattutto di quelli: aiuti economici e alimentari. Le crisi nucleari sono fumo senza arrosto, emesso per nascondere un Paese alla fame. Se è vero che la “guerra è pace”, per Pyongyang è sempre stato vero anche il contrario: la “pace è guerra”. È per questo che il momento di distensione che stiamo vivendo in queste settimane va visto con molta attenzione.

La riapertura di Kaesong e l’ospitalità riservata agli atleti sudcoreani a Pyongyang sono reali segni di distensione, ma non vanno sopravvalutati. Kaesong serve soprattutto al Nord, perché dà lavoro a migliaia di operai ed è fonte di reddito anche per il regime stalinista, oltre che per le aziende sudcoreane che vi lavorano esentasse. L’ospitalità data agli atleti del Sud è un gesto spettacolare e mostrato al mondo, ma anche gratuito. Non implica alcuna concessione. Piuttosto ci sono ancora serie ragioni per dubitare che la distensione sia usata come cortina fumogena per preparare la prossima crisi militare. A luglio, una nave carica di armi e diretta alla Corea del Nord è stata fermata a Panama. Le armi provenivano da Cuba e comprendevano anche missili. Si trattava, in gran parte, di ferri vecchi. L’Avana si è giustificata affermando che le stesse inviando al regime eremita per farle riparare. Tuttavia l’operazione è stata gestita con il massimo della segretezza, con le armi nascoste sotto un carico di zucchero: palese contrabbando di armi illegali. Il mercantile fermato, il Chong Chon Gang, è solo uno.

Ma quanti altri “scambi” di questo genere intercorrano fra i due regimi comunisti non è ancora chiaro. Ancor più inquietante, rispetto al traffico di vecchi missili, è la possibile riapertura dell’impianto nucleare di Yongbyon, per la produzione di plutonio, materiale fissile utile anche alla costruzione di bombe atomiche. Ad agosto, satelliti commerciali hanno fotografato fumo dalle ciminiere della centrale. Gli impianti sono dunque attivi, nonostante il loro smantellamento sia alla base di tutti gli accordi sulla denuclearizzazione. Altre fonti di intelligence rivelano che la Corea del Nord stia addirittura ampliando altri suoi impianti per la produzione di uranio arricchito (altro materiale fissile per la produzione di armi atomiche). In sintesi, un impianto riaperto, un alzabandiera e un inno teletrasmesso possono essere solo specchietti per le allodole. Per chi pensa che, secondo i nordcoreani, la “pace è guerra”, nei prossimi tempi, anche nel breve periodo, vedremo il peggio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:42