Il dramma siriano alla vigilia del G20

Nel mese di agosto le immagini terribili, provenienti dalla Siria, hanno suscitato sentimenti di indignazione in tutto il mondo, poiché hanno reso palese e documentato l’uso delle armi chimiche da parte del regime di Bashar Al Assad contro i civili inermi e indifesi, donne, bambini e anziani. In seguito a questo avvenimento tragico e sconvolgente, la comunità internazionale, non potendo tollerare in silenzio il massacro dei civili nel contesto della guerra civile che dilania questo Paese da oltre due anni, ha invocato l’intervento delle Nazioni Unite. Infatti, gli ispettori delle Nazioni Unite sono stati inviati sul teatro di guerra, in Siria, per raccogliere gli elementi necessari, onde fornire le prove che dimostrino, al di là di ogni dubbio, che l’uso delle armi chimiche da parte del regime di Assad contro i civili è realmente avvenuto.

Il parlamento britannico, storico alleato degli Stati Uniti, non ha approvato la mozione presentata dal governo inglese di Cameron, per ottenere l’autorizzazione ad attuare un intervento militare in Siria. Questo fatto, insolito e sorprendente, si pone in contrasto con la tradizionale alleanza tra l’Inghilterra e gli Usa, da sempre uniti nel affrontare i più diversi fronti di guerra, come è accaduto nel recente passato in Afghanistan e Iraq. L’amministrazione americana, guidata dal presidente Barack Obama, per la posizione che ha assunto di fronte alla crisi siriana, dove la guerra civile si perpetua da due anni, è stata più volte accusata di seguire una linea di politica estera esitante ed eccessivamente prudente. In ogni caso, di fronte alla barbarie rappresentata dall’uso dei gas contro i civili in Siria, Obama ha pronunciato un discorso con il quale ha chiarito qual è la posizione della sua amministrazione per individuare una soluzione politica che ponga termine al dramma che vive questo Paese.

Per Obama il regime di Al Assad ha, nel momento in cui ha deciso di ricorrere alla armi chimiche contro i civili e gli oppositori, oltrepassato quella linea rossa, di cui il presidente americano aveva parlato in passato, per stabilire in quali casi un intervento militare in Siria sarebbe divenuto necessario e non più rinviabile da parte della sua amministrazione. Tuttavia, tenendo presente quanto era accaduto nel parlamento inglese, Obama ha dichiarato che della decisione di intervenire in Siria dovrà discutere il Congresso degli Stati Uniti, che si riaprirà il 9 settembre dopo la pausa estiva. In più, nel suo solenne discorso, il presidente ha precisato e spiegato che l’intervento militare sarà limitato e rivolto a dissuadere il regime siriano dal ricorrere in futuro all’uso delle armi chimiche contro i civili. Non vi è dubbio che un intervento militare in Siria da parte dell’amministrazione Usa dischiude e contempla diverse possibilità: favorire la capitolazione del regime di Assad, oppure, più modestamente, limitarsi a colpire le basi militari siriane oppure tentare di influenzare l’esito della guerra civile, garantendo un sostegno ai ribelli e agli oppositori.

La posizione di Obama, che ha escluso un intervento di terra nel contesto della guerra civile siriana, è dovuta alla circostanza che l’opinione pubblica del suo Paese è contraria a dare vita a una nuova guerra in Medio Oriente. Il presidente Obama ha seguito in questi anni una politica estera improntata alla prudenza e alla cautela, derivante dalla tradizione intellettuale liberal, poiché si è trovato nella necessità di fronteggiare e gestire la pesante eredità della presidenza Bush. La guerra in Afghanistan, iniziata dopo l’undici settembre, non è riuscita a debellare i talebani né a sconfiggere l’islamismo radicale. Quella in Iraq, da cui gli americani si sono ritirati, ha generato un conflitto perenne tra i sunniti e gli sciiti.

Questi fatti aiutano a comprendere i motivi per i quali la maggioranza degli americani è riluttante a sostenere il peso e le sofferenze di una nuova guerra in Medio Oriente. Inoltre, vista l’esigenza di creare un ordine internazionale basato sul multilateralismo, è impensabile che gli Usa, di fronte all’impotenza delle Nazioni Unite, possano esercitare il ruolo del gendarme del mondo, ogni qual volta ci si trovi di fronte a una crisi internazionale che comporta la violazione dei diritti umani e della legalità. Tuttavia un intervento che si risolva in una azione militare limitata suscita scontento e delusione in quanti sostengono la dottrina dell’ingerenza umanitaria, per la quale è giusto violare la sovranità di un Paese nel quale vengano commessi crimini contro l’umanità mediante l’uso di armi chimiche.

Secondo gli osservatori, a consigliare all’amministrazione Obama un intervento militare limitato, è stato il timore fondato che la caduta e la capitolazione del regime di Assad, rimasto in piedi grazie alla protezione che ha ricevuto dalla Russia e dalla Cina e dall’Iran e dagli Hezbollah libanesi, possa rendere possibile la formazione di un nuovo regime politico dominato da forze politiche riconducibili ad Al Qaeda e all’integralismo islamico. Se di fronte alle alture del Golen Israele si trovasse un regime in Siria legato e influenzato dall’integralismo islamico, cosa accadrebbe in Medio Oriente? Occorre tenere presente che ancora vi è la possibilità di ricercare una soluzione politica che ponga fine alla cruenta guerra civile in Siria, giacché il consiglio di sicurezza, paralizzato dai veti incrociati, dovrebbe, secondo gli osservatori, imporre il cessate il fuoco alle due parti in conflitto, l’esercito regolare e i ribelli.

La Russia e la Cina, da un lato, la Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar, dall’altro, dovrebbero esercitare una pressione politica sul regime e l’anti regime per indurli alla moderazione e favorire, in tal modo, la soluzione politica del conflitto siriano. Come ha notato con lucidità il ministro degli Esteri, Emma Bonino, la ricerca della soluzione politica della crisi siriana, che la comunità internazionale ha il dovere di individuare, deve avere due riferimenti irrinunciabili e fondamentali: il diritto internazionale e l’interresse nazionale della popolazione siriana, che in questi due lunghi anni ha dovuto sopportare enormi sofferenze e terribili lutti. Si spera che il prossimo G2O, che si terrà la prossima settimana a San Pietroburgo, possa essere il luogo in cui il dramma siriano venga discusso e affrontato dai principali Paesi, in vista di una soluzione politica che conduca alla cessazione della guerra civile. Infatti la guerra civile in Siria rischia di divenire, nel caso non fosse fermata dalla comunità internazionale, fonte di tensioni e di conflitti in Medio Oriente, una della parti del mondo esposta ai rischi legati al fenomeno dell’integralismo islamico e dove è minacciata la sicurezza dello stato di Israele.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:40