Gli hacker siriani e i conservatori Usa

Gli hacker siriani hanno attaccato di nuovo, questa volta piratando il sito ufficiale del Corpo dei Marines. Foto di soldati anonimi, con il volto coperto da messaggi scritti a mano, hanno sostituito il classico stile istituzionale del corpo più antico e prestigioso delle forze armate statunitensi. Dopo qualche momento di sconcerto (“ohibò, c’è un ammutinamento anche fra i marines?”) si è chiarito l’equivoco abbastanza facilmente. Gli hacker pro-Assad si era praticamente firmati con un chiaro “delivered by sea” (spedito via mare) che contiene l’acronimo di Syrian Electronic Army.

L’invito della Sea è quello di disobbedire agli ordini. «Non mi sono arruolato nei Marine per combattere al fianco di Al Qaeda nella guerra civile siriana» si legge nel testo, scritto a mano su un foglio di quaderno, che copre il volto di un anonimo militare (pluri-decorato) appartenente al corpo “sempre fedele”. Una versione analoga c’è anche per la Marina: «Non mi sono arruolato in Marina, per…» e per l’Esercito. Qualche piccola variante, stesso schema per tutte le foto. E l’impatto è assicurato. I siti istituzionali militari statunitensi sono stati ripristinati molto in fretta, ma non abbastanza in fretta da impedire che le immagini in questione diventassero virali. Un bel colpo assestato dalla Sea, non c’è che dire. E non è neppure il primo, considerando che altri siti molto visitati, nelle scorse settimane, sono stati crackati. Nata per censurare i media all’interno del regime, ha esportato la sua censura anche negli Stati Uniti, cancellando per qualche ora il sito del New York Times e piratando la app (per Android) di Sky. Anche l’account di Twitter del network televisivo era stato sostituito dagli hacker con la pagina della Sea. E lo stesso Twitter, il più grande e istantaneo social network (e il preferito dai ribelli siriani sin dal 2011) è stato piratato.

La Sea ha imparato dai suoi maestri militari cinesi e russi come condurre una guerra a basso costo e con risultati molto plateali. Una forma di terrorismo che, per ora, non fa morti ma danni d’immagine, prima che si inizi a combattere una guerra vera e propria. Nei prossimi giorni, se dovesse scattare realmente l’attacco statunitense, gli hacker della Sea dichiarano di voler rispondere con “molte nuove sorprese” già in cantiere. Sarà un bel banco di prova. Una prima grande manifestazione del potenziale militare di Internet avvenne nel 2007, quando gli hacker russi (anche se Mosca, tuttora, nega la sua responsabilità) entrarono nei siti delle istituzioni economiche e politiche dell’Estonia. La Cina ha dimostrato di aver affinato ancora di più le sue tecniche di guerra cibernetica, penetrando ovunque nei sistemi informatici industriali per rubare informazioni segrete, stando alle denunce degli Usa. Il colpo più potente lo hanno comunque assestato gli Stati Uniti stessi, mettendo ko, per mesi, il processo industriale iraniano di arricchimento dell’uranio. La guerra cibernetica si è dunque sviluppata su tre differenti fronti: con un computer e un buon programmatore si può fare propaganda (oscurando e sostituendo i siti del nemico, come hanno fatto i russi in Estonia e ora i siriani negli Usa), rubare i dati segreti del nemico (Cina contro Usa), o addirittura sabotare le sue attività industriale (Usa contro Iran). Siamo solo agli albori di questo tipo di conflitto e c’è da presumere che, nei prossimi anni, vedremo sviluppare capacità molto più letali.

Tornando ai siriani, è difficile capire quanto, con l’assistenza di Russia e Cina, abbiano la possibilità di colpire e danneggiare gli Usa. Occorre considerare che un sito istituzionale dei Marine, o la pagina Web di un giornale o di un social network, sono bersagli soffici. Le strutture militari, quelle che contano realmente, sono protette da cinque anni di sviluppo di programmi difensivi in ambito Nato.

A livello puramente propagandistico, però, i siriani hanno già toccato un nervo scoperto. Il popolo conservatore statunitense, tradizionalmente più vicino alle forze armate (e ai Marines e alla Marina in particolare) diffonde, in rete, nei social network e nei forum, esattamente quel tipo di commenti che gli hacker hanno attribuito agli anonimi Marine e marinai. Sulla pagina Facebook di “Being Conservative”, ad esempio, leggiamo migliaia di commenti quali “stare fuori dalla Siria” o “non dobbiamo combattere al fianco di Al Qaeda”, o il semplice e brutale “lasciamo che si ammazzino fra loro”.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:42