Siria, a un passo dalla tragedia

In Siria siamo a un passo dalla tragedia. Perché è lì che un incomprensibile Obama ha deciso di battere un colpo per dare un segno di vitalità politica. Direbbero i nostri progenitori sulle tracce di Plutarco: navigare necesse est, vivere non necesse. Peccato però che si abbia, da parte nostra, la netta sensazione che in casa americana i parametri di valutazione adottati per decidere se intervenire, o meno, militarmente non tengano conto dei danni che un’avventata scelta interventista possa provocare non solo ai nemici quanto soprattutto ai cosiddetti “amici”.

Gli analisti americani hanno ricevuto l’ordine di fare presto il loro lavoro, come pure devono affrettarsi gli ispettori dell’ONU ad accertare se davvero il regime di Bashar Al Asad abbia fatto ricorso all’uso di armi chimiche, proprio nel momento in cui le cose sembravano mettersi al meglio per la propria parte. E devono sbrigarsi anche gli “sherpa” della diplomazia a mettere insieme una decente giustificazione morale che faccia da copertura all’intervento militare statunitense. In questo brulicare di iniziative, consultazioni, redazioni di piani, analisi di opzioni, ci permettiamo sommessamente di fare osservare a chi ha il potere di recare danni agli altri, oltre che a se stessi, che un’avventata iniziativa bellica potrebbe avere immediate ripercussioni nell’intera area mediorientale, a partire dalle zone limitrofe ai confini siariani.

E occorre ricordare agli aspiranti belligeranti che proprio in quelle zone opera, con buoni risultati, un contingente di forze di pace di oltre diecimila uomini provenienti da 37 nazioni. Di questi millecento sono nostri ragazzi, in prevalenza della brigata di cavalleria “Pozzuolo del Friuli”. Gran bel nome Pozzuolo del Friuli, gran bella storia. Si tratta del contingente UNIFIL impegnato nell’operazione di peacekeeping, denomimata Leonte. Siamo lì dal 2006 in forza di due Risoluzioni del Consiglio di Sicurrezza delle Nazioni Unite, la 1701 dell’11 agosto 2006 e la 1832 del 27 agosto 2008. Attualmente il comando dell’operazione è, guarda caso, italiano. Al comando c’è il generale di divisione Paolo Serra, dicono che sia uno in gamba. Non sono lì per fare i turisti, i militari impegnati.

Sono donne e uomini che svolgono con professionalità e onore un delicatissimo compito, quello di costituire una forza d’interposizione, una sorta di cuscinetto, tra le due armate contrapposte, quella israeliana dell’IDF da una parte e quella libanese della LAF dall’altra, in aggiunta della quale vi sono le milizie filoiraniane Hezbollah. Il campo d’azione, la cosiddetta linea armistiziale “Blue Line”, è nel Sud del Libano, nell’area del fiume Litani. Il ruolo della forza di pace non si è limitato in questi anni a vigilare sulla sicurezza del confine israelo-libanese. I caschi blu svolgono compiti di assistenza a beneficio delle popolazioni civili minacciate dall’escalation della crisi bellica, mediante interventi umanitari.

A noi italiani questa missione costa un occhio, ma pensiamo che siano soldi ben spesi perché contribuiscono effettivamente alla stabilità e alla sicurezza dell’area. Certo, con i chiari di luna ( è un’espressione idiomatica delle mie parti) della spesa pubblica schizzata alle stelle, con il debito pubblico giunto alla mitica “quota everest”, con le famiglie e le imprese soffocate dalle tasse, con una ripresa che proprio non arriva, con la disoccupazione in ascesa verticale, verrebbe la voglia di dire: risparmiamoceli quei soldi. Che se la sbrighino altri a fare il bene dell’umanità. Abbiamo i nostri guai, pensiamo a quelli. E invece, no. A nessuno viene in mente, tranne che ai soliti utili idioti di certa sinistra radical-shic, di dare forfait.

Di fare i bagagli e squagliarsela. I nostri ragazzi restano lì a fare il loro dovere, e il nostro onore. Creda, signor Obama, stanno facendo un ottimo lavoro che deve essere sostenuto e non annichilito. Se non crede a noi verifichi con i suoi alleati regionali. Per informazioni citofonare Netanyahu Benjamin, Gerusalemme, Israele. Ora, un’avventata iniziativa di guerra, ancorché sommariamente e maldestramente giustificata con una toppa “morale” che fa acqua da tutte le parti, avrebbe come sicuro esito una rappresaglia tesa a colpire i simboli e le rappresentanze fisiche, in carne ed ossa, di quei paesi che, con diverso grado, si conformano alle decisioni di Washington, o le assecondano nei contesti internazionali.

I nostri ragazzi sono lì, a pochi passi dal confine siriano. Hanno armamenti proporzionati al tipo di missione che sono chiamati a svolgere. Non sono attrezzati per respingere un’azione di guerra attivata su larga scala. Cosa accadrebbe se i militari italiani, o anche quelli francesi, coreani, sloveni o irlandesi, venissero catturati e presi in ostaggio? Cosa accadrebbe se a uno o più di loro fosse fatto del male o tolto la vita? L’ ha valutato questo, signor Obama? Oppure ritiene che queste eventuali perdite siano un danno collaterale accettabile? Accettabile per chi? Per Lei, mister Obama o per noi? Già ci perdoni, in fondo noi siamo i “soliti” italiani, quelli che possono essere “fottuti” (altra espressione idiomatica delle mie parti), come in Libia, tanto poi…c’è Letta, vuoi mettere.

Eppure un po’ se lo meriterebbero questi italiani se metà di loro continua ad andare dietro a quel delinquente, “l’amico” di Putin. Per par condicio rigiriamo le stesse domande alla nostra ineffabile ministra degli esteri nella speranza che sia un po’ più chiara e meno vile di quanto abbia mostrato di essere in questi giorni. Mirabilia. Ha detto la Ministra che noi senza l’ONU non ci muoviamo. Comunicazione di servizio: Ministro sveglia! L’ONU in zona c’è già e rischia di restarne travolta se gli americani decidono di lanciarsi a testa bassa nella cristalleria siriana. D’accordo, preveniamo l’obiezione. L’idea di chiamare in causa l’ONU è un’astuta manovra politica buttata lì nella certezza che Russia e Cina impediranno che vi sia, su questo, un pronunciamento unanime del Consiglio di Sicurezza.

Va bene, complimenti per l’astuzia da volpe del deserto, ma non sarebbe stato meglio parlare chiaro ai nostri alleati e dire ciò che con molto realismo hanno detto all’intero Occidente i governanti israeliani: la crisi siriana, con tutto il suo portato di anomale alleanze, è questione che si sviluppa e si dipana all’interno del mondo arabo, per cui sarebbe buona cosa che fosse la Lega Araba con l’indubbio peso della sua autorità nell’area, a prendere l’iniziativa del confronto tra le parti in lotta e trovare una soluzione che sbrogli la matassa. Per la nostra leadership politica è così tanto difficile dire una cosa così tanto semplice? Un vecchio amico fiorentino, in simili circostanze, era solito esclamare”roba da chiodi”!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:41