Nuovo presidente, nuove impiccagioni

Di fronte alla scena straziante di migliaia di corpi senza vita in Siria che sembrano dormienti, cosa si può scrivere? Metteranno in macabra mostra le coscienze in vacanza? Oggi pure i bambini, molti tra quei corpi dormienti, sanno che il regime siriano si regge soprattutto con l’aiuto pratico del regime teocratico iraniano, che amministra sul campo e per conto del dittatore siriano il massacro in quella martoriata terra. Il neo presidente della teocrazia iraniana nella sua prima dichiarazione ufficiale ha ribadito che l'Iran resta contrario a qualsiasi ingerenza straniera in Siria. Le cancellerie occidentali pare lo ascoltino.

Il viceministro degli esteri Lapo Pistelli, precipitatosi a Teheran appena dopo due giorni dal giuramento di Rouhani, al suo ritorno spiega entusiasta all'ANSA - il 12 agosto - che la sua missione non è frutto del caso. La composizione del governo di Rouhani, probabilmente all’onorevole sottosegretario non farà né caldo né freddo. Così diventa un piccolo particolare che il ministro della Giustizia Pour-Mohammadi sia tra i principali attori dell’uccisione di 30.000 prigionieri politici nell’estate del 1988 in Iran. È trascurabile, o forse agli occhi del sottosegretario ne mette in mostra lo spessore, che Hossein Dehghan,ministro della Difesa, sia fondatore di Hezbollah in Libano e abbia un passato eccellente di sequestratore di diplomatici a Teheran.

Di altri ministri, molti provenienti dagli apparati di sicurezza – leggi repressione - del brutale regime è meglio tacere. Lo zelo dell’esponente del governo italiano, in ogni caso, sembra eccessivo e mette in mostra il suo personale invaghimento, di lunga data, verso il regime teocratico iraniano, che avrà forse le sue ragioni. Ricordiamo che sguazzare nel fango del regime delvelate-e faghihsporca, porterà vantaggi economici ma intensifica l’immane sofferenza del popolo iraniano che ritiene il regime fonte dei suoi guai. Stiamo parlando di un regime che secondo l’ultima relazione di Ahmad Shahid, relatore speciale dell’ONU, nelle carceri violenta il 35% degli uomini e l’80% delle donne.

Ricordiamo che il regime confessionale al potere in Iran per la sua natura totalitaria non riconosce l’opposizione, in qualsiasi forma essa si manifesti. Non stiamo parlando solo dell’opposizione al regime, ma della dissidenza all’interno del regime stesso. Un regime che non rispetta neanche la sua costituzione, che per giunta è antidemocratica. Del penoso tavolo negoziale sul nucleare è più dignitoso stendere un velo. Sì, in Iran c’è una guerra tra le fazioni del regime, sotto gli occhi di tutti, ma questa non riguarda il popolo e i suoi diritti, ma il potere e i privilegi della nomenclatura al potere. In Iran, come in tutto il medio Oriente, c’è una lotta del popolo contro la tirannia, distinta dai conflitti intestini dell’establishment.

Qui in Occidente va di moda presentarla come una lotta di religione, ma in verità si tratta di diritti. In Iran in particolare la lotta secolare per la democrazia non è mai cessata, anche se viene repressa violentemente dal regime. Ma sui diritti umani il viceministro degli esteri onorevole Lapo Pistelli ci rassicura; nella sua intervista a L’Unità dice: «Posso dire che anche nei colloqui ufficiali ho riscontrato la disponibilità, anzi sono stato sollecitato, ad aprire un "dialogo critico". Come dire, da parte iraniana si è prevenuta l’obiezione prima che arrivasse». Trova il dittatore disponibile, ne è felice.

Nelle prime settimane dopo l’elezione del nuovo presidente dei mullà il numero degli impiccati ha avuto una nuova impennata, supera 100. Chiudere tutte e due gli occhi sulla materia dei Diritti Umani non è onorevole. Confondere il popolo con il regime dittatoriale è scorretto ed è cinico. Ignorare le istanze democratiche degli iraniani non è onesto. Considerare questo regime teocratico espansionista parte della soluzione del problema mediorientale oltre che semplicistico è tragico. I corpicini di Ghouta lo testimoniano. 

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:46