Il discorso della Regina

In tanti hanno visto “Il discorso del re”, il commovente film incentrato sul discorso pronunciato da Re Giorgio VI (nonostante la sua balbuzie) allo scoppio della II Guerra Mondiale. Solo da ieri, però, abbiamo potuto leggere il testo del discorso della regina (Elisabetta II) allo scoppio della III Guerra Mondiale. Avete capito bene: III Guerra Mondiale. La guerra non è scoppiata, ma nel caso lo fosse, la regina aveva già pronto il suo discorso alla nazione. Era l’aprile del 1983. Durante un’esercitazione della Gran Bretagna, la regina si preparò al suo ruolo: prima di tutto, parlare ai suoi sudditi per sostenerne il morale. «Non ho mai dimenticato il dolore e l’orgoglio che provai, quando mia sorella ed io ci stringevamo attorno alla radio della nostra cameretta, per sentire le parole ispirate di mio padre in quel giorno fatale del 1939 – avrebbe detto la regina, ricordando la dichiarazione di guerra alla Germania nazista – Per nessuna ragione al mondo avevo immaginato che quel dovere solenne e drammatico sarebbe ricaduto sulle mie spalle.

Tutti noi sappiamo che i pericoli che oggi dovremo affrontare sono i peggiori mai affrontati nella nostra lunga storia. Il nemico non è il soldato con il suo fucile, nemmeno l’aviatore che solca i cieli sopra nel nostre città, bensì il potere mortale di una tecnologia abusata. Ma qualunque sia il terrore che ci attende, tutte le nostre virtù, che ci hanno permesso di salvaguardare le nostre libertà per ben due volte in questo triste secolo, saranno ancora una volta la nostra forza». La Gran Bretagna, oltre a mobilitare la sua flotta, avrebbe mandato almeno quattro divisioni a combattere in Europa, contro un’eventuale avanzata sovietica in Germania. Fra i militari, nella Royal Navy, c’era anche il principe Andrea: «Mio marito ed io condividiamo con tutte le nostre famiglie, la paura per la sorte dei nostri figli e figlie, mariti e fratelli che hanno lasciato le nostre case per servire il nostro Paese. Il mio amato figlio Andrea è al momento in azione sulla sua nave e noi preghiamo continuamente per la sua salvezza e per quella di tutti i soldati e le soldatesse, in patria e oltremare».

Contrariamente alla Svizzera e ai Paesi del Nord Europa, che basavano la loro difesa civile (da un possibile attacco nucleare) su un’estesa rete di bunker collettivi, la Gran Bretagna contava soprattutto sul self-help: ogni casa, all’occorrenza, avrebbe dovuto trasformarsi in un rifugio. Il governo, da tre anni a quella parte, stava distribuendo i manuali “Protect and Survive”, con le istruzioni dettagliate su come costruire, in cantina o in una stanza sicura, un rifugio contro le radiazioni del fallout. Per questo motivo, la regina si sarebbe rivolta soprattutto alle famiglie: «È lo stretto legame della vita familiare che deve risultare la nostra più grande difesa contro l’ignoto. Se le famiglie rimangono unite e determinate, dando rifugio a coloro che vivono soli e senza protezione, il nostro Paese sopravvivrà e non potrà essere spezzato. Il messaggio che vi rivolgo è semplice. Aiutate coloro che non possono aiutarsi da soli, date rifugio alle persone sole e ai senzatetto, lasciate che la vostra famiglia diventi il fulcro della speranza e della vita per coloro che ne avranno bisogno».

Quante possibilità c’erano che quel discorso venisse tirato fuori dal cassetto e letto realmente alla nazione? Tante. Molte più di quanto non immaginiamo, stando ai documenti che, di volta in volta, vengono declassificati. Benché i sovietici conservino tuttora il segreto su quel terribile 1983, ci sono già abbastanza testimonianze che rivelano le dimensioni del pericolo. In aprile le nubi di guerra si stavano addensando, ma nei mesi immediatamente successivi sì. In almeno due casi, il 26 settembre 1983 e il 9 novembre 1983, i sovietici avrebbero potuto lanciare un attacco. Nel primo caso avrebbero tirato direttamente i missili, nel secondo, nel migliore dei casi, avrebbero invaso l’Europa. La causa del pericolo di un’apocalisse nucleare era tutta interna alla classe dirigente dell’Unione Sovietica e alla sua visione del mondo. Nel 1981 il vecchio leader sovietico Leonid Breznev (successore di Chrushev) era alla fine della sua vita e della sua presidenza. Già, di fatto, comandava il presidente del Kgb Jurij Andropov. Percepito erroneamente come un “riformatore”, Andropov era convinto che la guerra fra il sistema socialista e quello capitalista fosse inevitabile.

Già nel 1981 percepiva una tendenza al declino del blocco socialista. Il conflitto in Afghanistan, la ribellione indomabile del sindacato Solidarnosc in Polonia, l’ascesa di un polacco, Karol Wojtyla, al soglio pontificio, l’inizio della recessione economica nell’Urss, erano tutti i sintomi di un’inarrestabile decadenza del blocco socialista. Andropov, che era un marxista leninista convinto, non credeva che il sistema contenesse, al suo interno, i germi del declino. Attribuiva la colpa del crollo imminente a nemici esterni: al capitalismo e al cristianesimo. Il Kgb e il Gru (il servizio segreto militare) unirono per la prima volta le loro forze per condurre la più vasta operazione di spionaggio contro l’Occidente. Questa campagna, chiamata RYAN (acronimo russo di “attacco nucleare di sorpresa”) mirava a individuare tutti i sintomi di preparazione di un attacco nucleare della Nato. Percependo la debolezza del blocco socialista, Andropov era infatti convinto che l’Occidente l’avrebbe attaccato. Alla morte di Breznev, nel 1982 gli subentrò proprio Andropov. Col risultato che l’Urss aumentò ancora di più i preparativi per lo scontro finale. Sotto la facciata dei sorrisi diplomatici e delle estenuanti trattative per eliminare le forze nucleari in Europa, i servizi segreti sovietici, con l’operazione RYAN, vedevano, in ogni singolo aspetto della nostra vita, sempre nuovi sintomi di guerra. Si trattava di auto-convincimento bello e buono. Tre furono i fattori che ci portarono sull’orlo del conflitto.

 Il 1 settembre i sovietici abbatterono per errore un aereo civile sudcoreano (scambiato per un velivolo spia statunitense), il volo Kal 007 che, sempre per errore, aveva sconfinato nei cieli orientali dell’Urss. La comprensibile indignazione di Ronald Reagan e dell’opinione pubblica occidentale fu vista, dagli agenti sovietici, solo come un’operazione orchestrata per preparare i popoli occidentali alla guerra. Ignorando i 269 passeggeri assassinati da un pilota della sua aviazione militare, Andropov ritenne di essere ancora vittima di una grande cospirazione. A gettar benzina sul fuoco fu un altro errore sovietico: il 26 settembre un satellite segnalò un lancio di missili statunitensi… che non esistevano. Si trattava di un difetto dei sensori. L’incidente venne superato senza danni grazie alla lucidità dell’ufficiale sovietico al comando del centro di primo allarme, il colonnello Stanislav Petrov (lo scorso febbraio è stato insignito, in Germania, del Premio Dresda proprio per il coraggio che dimostrò 30 anni fa), che decise, a suo rischio e pericolo, di ignorare il tutto e non diffondere l’allarme. Il 25 ottobre, Reagan lanciò un altro forte segnale al mondo comunista, rovesciando il regime comunista della piccola isola di Grenada.

 I sovietici vissero quell’attacco a sorpresa come un preludio di una guerra in Europa. Pochi giorni dopo, la Nato diede inizio ad un’esercitazione di comando e controllo, per testare le procedure di autorizzazione all’uso delle armi nucleari in Europa. Per il Kgb era “evidente” che la Able Archer 83 (questo era il nome della manovra Nato) fosse solo una copertura volta a dissimulare un vero attacco nucleare contro il blocco orientale. Stando alla testimonianza dell’ex ufficiale del KGB Oleg Gordievskij, dell’ex spia tedesca Rainer Rupp e di altri ufficiali sovietici, Mosca fu sul punto di prevenire l’imminente offensiva della NATO (che non c’era) attaccando per prima l’Europa. Se l’avessero fatto, la regina avrebbe dovuto leggere il suo discorso alla Nazione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:40