Detroit, il fallimento del settore pubblico

La bancarotta di Detroit non è la morte di una città e non è vittima della crisi finanziaria. È il fallimento del settore pubblico e l’inizio di una possibile rinascita. Prima di tutto, a proposito dell’italiana Fiat: le sorti dell’amministrazione di una grande città e quelle della gestione delle grandi imprese che ospita nel suo territorio, non sono legate fra loro. La Chrysler/Fiat va bene. Il New York Times ne parla addirittura come di un “miracolo” economico. Tutti e tre i giganti dell’auto di Detroit, non solo Chrysler, ma anche General Motors e Ford, si sono riprese dalla grande crisi del 2008-2009, ricominciando a produrre Pil.

Quel che non funziona è proprio l’amministrazione pubblica. Benché le cronache di ieri parlassero soprattutto del governatore del Michigan (Rick Snyder, un Repubblicano) che ha proclamato pubblicamente la bancarotta, la grande città industriale è stata governata dai Democratici dal 1962 e tuttora ha un sindaco democratico, Dave Bing, in carica dal 2009. Dal 1962 ad oggi i Democratici hanno governato la città, come al solito, basandosi su politiche di spesa pubblica. Da cui deriva il vero problema di Detroit: un debito pubblico di oltre 18 miliardi di dollari che non si riesce più a ripagare. Contando sulla presenza di un’amministrazione democratica alla Casa Bianca, che era stata pronta a stanziare 80 miliardi di dollari per evitare il collasso dei giganti dell’industria automobilistica, l’amministrazione democratica cittadina non ha messo mano alle politiche dei tagli. Col risultato che i soldi sono finiti. La grande città settentrionale ha finito i soldi per finanziare le pensioni pubbliche. Ha dovuto risparmiare sulla sicurezza, col risultato che la criminalità è balzata a livelli record, i peggiori di tutti gli Stati Uniti. Intere aree sono al buio (quasi la metà della città), perché non ci sono più soldi per garantire l’illuminazione pubblica a tutti. Se scoppia un incendio e si devono chiamare i pompieri, li si può attendere anche per un’ora, perché le loro pattuglie sono ridotte al minimo.

 I cittadini di Detroit hanno già iniziato da un pezzo a votare con i piedi: un quarto se n’è andato, trasferendosi in altri stati. Il tutto, è bene ripeterlo, non è causato da un’industria privata automobilistica (che sta andando bene), ma proprio dalla mala-amministrazione pubblica. Per uscire da questo incubo metropolitano, era stato nominato dallo stato del Michigan un commissario straordinario, Kevyin Orr. In questo modo, i Repubblicani al governo dello stato, hanno cercato di porre rimedio alla crisi con una politica di tagli. Ma era ormai troppo tardi per transare con i creditori, ormai infuriati dai mancati pagamenti. Aveva proposto loro una condizione difficile da accettare: rinunciare al 90% dei loro crediti, prendendo 10 centesimi per ogni dollaro che era loro dovuto. I creditori che si sono impuntati di più, facendo saltare il tavolo, sono stati i fondi pensione, rappresentanti dei pensionati cittadini, prime vittime della crisi amministrativa. E allora: bancarotta. Non c’era altro da fare.

 Che cosa comporta la bancarotta? Non è la morte di una città. La morte, semmai, è la crisi del debito che l’ha trasformata in una metropoli da terzo mondo. La bancarotta è, al contrario, l’inizio della rinascita. Sarà dolorosa, sicuramente: ora l’amministrazione cittadina che non ha voluto tagliare le spese sarà costretta a vendere le proprietà pubbliche per tornare a far cassa, a licenziare tutti gli impiegati pubblici in esubero e magari anche a tagliare quelle pensioni che hanno fatto saltare la trattativa. Ora spetta a Barack Obama decidere se aiutare Detroit con fondi federali (come si fa in Italia, a spese dei contribuenti di tutti gli altri stati), oppure lasciare che la città fallita possa riprendersi con le sue sole forze. Magari anche vendendo la polizia locale, come già altre città fallite hanno fatto. Una Detroit completamente privatizzata era lo scenario del classico della fantascienza “Robocop”: un esempio di eccellenza nella sicurezza privata.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:55