Il tritacarne giudiziario russo

Un caso giudiziario obbliga a riaprire gli occhi sulla realtà della Russia. Dopo il martellamento mediatico sul caso Snowden, che ha chiesto asilo politico a Mosca per sfuggire alla “repressione” statunitense, abbiamo un caso di sospetta repressione politica russa: Aleksej Navalnij, oppositore di primo piano, è stato condannato a 5 anni di carcere, per una truffa su cui non ci sono prove, ma solo una testimonianza di parte. Navalnij è stato accusato di aver venduto l’equivalente di 500mila dollari di legname dall’azienda di Stato KirovLes, nel 2009, quando era assistente del governatore di Kirov, Nikita Belikh.

Ricoprì il ruolo di assistente per meno di sei mesi. Non ci sono prove concrete sul fatto che abbia convinto il governatore a vendere illegalmente il legname a prezzi superiori rispetto a quelli di mercato. L’indagine a carico di Navalnij era iniziata nel 2010, poi fermata per mancanza di prove. Poi è stata riaperta nel 2012, coinvolgendo anche un altro uomo d’affari, Piotr Ofitserov. Sarebbe stato quest’ultimo, secondo le accuse, ad aver gestito l’affare, usando Navalnij come intermediario. Nel corso del processo, iniziato lo scorso aprile, l’ex direttore di KirovLes ha testimoniato contro Navalnij. Ma l’accusato non ha potuto portare testimoni in sua difesa per ordine del giudice. Il processo si è concluso ieri, con una sentenza che ricorda i tempi dell’Unione Sovietica: «Agendo per interessi egoistici – ha dichiarato alla corte il giudice Sergej Blinov – Navalnij ha organizzato il crimine, ha pianificato la sua supervisione, assieme al suo associato Piotr Ofitserov, che è sotto processo in quanto complice e ha sviluppato un piano criminale per truffare la proprietà di KirovLes a favore di una nuova organizzazione sotto il controllo di Navalnij e di Ofitserov, creata e presieduta da Ofitserov». Ecco, dunque, il nemico pubblico numero uno incarnato: l’egoista che truffa la proprietà dello Stato.

 Ricorda molto la condanna di Khodorkovskij, accusato di aver rubato alla sua stessa azienda (privata, in questo caso) per fini “egoistici”. A prescindere dalla mancanza di prove, delle testimonianze solo a favore dell’accusa e della formulazione molto ideologica della sentenza, la vicenda Navalnij lascia più di un dubbio per la tempistica. Prima del 2009 Navalnij era un esponente del partito liberaldemocratico Yabloko, da cui fu espulso quello stesso anno perché troppo vicino ai nazionalisti. Nel 2009 si mise al servizio del governatore Belikh, per meno di mezzo anno. Ma nessuno se ne occupava, il suo nome era completamente assente dalle cronache internazionali e poco presente in quelle nazionali. Alla fine del 2009, però, iniziò a distinguersi per i suoi articoli particolarmente critici nei confronti della gestione del potere delle aziende di Stato russe. Prima puntò il dito su una presunta truffa della banca pubblica Vtb, subito dopo su un’altra truffa che sarebbe stata commessa da Transneft, monopolista del commercio del petrolio.

La prima inchiesta sul caso KirovLes risale a pochi mesi dopo i suoi primi articoli. Lo scheletro nel suo armadio, però, non era stato trovato. Mentre la carriera di opposizione di Navalnij è andata avanti a gonfie vele. Per le sue denunce al sistema delle aziende statali aveva aperto un suo blog, Rospil, nel dicembre del 2010, che presto divenne il punto di riferimento sul Web di tutti gli oppositori al duo Putin-Medvedev. Risale sempre al 2010 la partecipazione di Navalnij a un programma internazionale dell’Università di Yale. E subito i complottisti pro-Putin hanno iniziato a vedere in lui l’agente degli “imperialisti” americani. Lui, accusato a più riprese dai liberali, di essere troppo nazionalista nelle idee, ha iniziato ad essere visto come l’uomo pagato dall’estero per destabilizzare la Russia. Paradossi dell’ideologia. La fama internazionale di oppositore, Navalnij se l’è guadagnata molto più di recente. Nel febbraio 2011, aveva fatto scalpore la sua intervista, rilasciata alla radio Finam FM, in cui aveva definito Russia Unita (il partito di Putin e Medvedev) un’organizzazione di “truffatori e ladri”. Nel dicembre del 2011, aveva invitato i suoi (ormai molto numerosi) lettori a “votare chiunque, ma non Russia Unita”. E nelle parlamentari di quell’anno, il partito di governo, per la prima volta nella sua storia, era andato sotto il 50%.

 Dopo le parlamentari, la protesta contro il Cremlino si era gonfiata fino a decine di migliaia di persone in piazza. Nonostante la dura reazione della polizia, per 15 giorni gli oppositori rimasero mobilitati. Navalnij, in quella occasione, venne arrestato e rilasciato dopo poco, con l’accusa di “resistenza a pubblico ufficiale”. L’oppositore non mollò il colpo nemmeno dopo la rielezione al Cremlino di Vladimir Putin. Anzi, alzò il tiro delle sue accuse coinvolgendo il presidente del potente Comitato Investigativo, Aleksandr Bastrikin. Sul suo blog, Navalnij pubblicò documenti che dimostravano come l’alto funzionario pubblico avesse violato la legge aprendo una sua azienda all’estero (nella Repubblica Ceca) dove aveva anche residenza. Il patriottico establishment russo, che vieta anche le adozioni negli Stati Uniti, fa affari (contro la legge) con un “nemico” membro della Nato? In questo clima di tensione, appena quattro giorni dopo lo scandalo Bastrikin, si è riaperta l’indagine KirovLes a carico di Navalnij. La sentenza è giunta ieri. Putin potrà dormire sonni più tranquilli: un “rompiscatole” in meno.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:56