Iran, la grande mistificazione

Mark Twain diceva che dove non c’è libertà, se le elezioni cambiassero qualcosa, non le permetterebbero. Nella Repubblica islamica dell’Iran il meccanismo delle elezioni non è incompatibile con l’assenza di libertà; il complesso sistema del velayat-e faghih sovrintende tutte le istituzioni che solo in apparenza possono vagamente assomigliare ad organismi democratici. La Repubblica islamica è antitetica alla democrazia, mancando dei principi fondamentali quali la libertà di partecipazione, di organizzazione sociale e politica, di pensiero, di critica e di dissidenza. Tuttavia nell’Iran della Repubblica islamica c’ è il rito delle elezioni. E non sono mai mancati analisti che dipingono le elezioni iraniane come le più democratiche al mondo.

Questi zelanti sono sempre pronti a celebrare un immaginario “trionfo” del regime dei mullà. Peccato che il prezzo, di sangue e sofferenza, delle mistificazioni delle lobby e della politica del compiacimento viene pagato sempre dai soliti: il popolo iraniano. C’è bisogno di ricordare i silenzi di Rouhani durante la sanguinosa repressione del 2009? Che è stato lui a invocare nel 1999 e nel 2004 la pena di morte per gli studenti che manifestavano e che definì sprezzantemente la democrazia una copertura americana? No! Rouhani è il riformista, il moderato, il pragmatico … e chi ne ha più ne metta. Hassan Rouhani è stato per 16 anni segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale - organo della repressione interna e del terrorismo all’estero - ed oggi in questo organismo è il rappresentante di Khamenei. Nel suo libro dal titolo “Sicurezza nazionale e diplomazia nucleare” si difende dall’ accusa di essere stato troppo arrendevole e scrive che tra il 2003 e il 2004, mentre si accordava con gli europei, faceva allestire le centrifughe. Il re persiano akemenide Dario il grande diceva: “Iddio conservi il mio paese dalla carestia e dalle bugie”. Grazie ai mullà l’ Iran oggi è terra di bugie e carestia.

L’istanza di un radicale cambiamento del regime del velat-e faghih è radicato e diffuso in Iran. Gli iraniani in 34 anni di regime hanno capito che questi serpenti non partoriranno colombe. Anche l’Occidente “dialogante”, con grave ritardo, sta arrivando alla stessa conclusione. Tralasciamo per un po’ il balletto dei numeri – come in un deja vu il numero dei votanti dichiarati dal regime è un multiplo del numero reale -; il voto a Rouhani, che è uomo dell’establishment ma non proprio la prima scelta di Khamenei, può considerarsi benissimo un referendum contro il regime. Il mullà Hassan Rouhani esce dalle urne del regime dittatoriale iraniano come un’“epopea nazionale”; ma gli iraniani non si illudono. Semmai sono pronti a rivendicare le loro istanze democratiche negate, cominciando dalla liberazione dei prigionieri politici.

Ma questa volta neanche le cancellerie occidentali saranno imprudenti a considerare l’ evento come un’apertura epocale. L’uomo dell’apparato di sicurezza in Iran - leggi feroce repressione – avrà il compito di far sfiatare una situazione esplosiva, in Iran e all’estero. Le sanzioni economiche, scaturite dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e inasprite sia dagli USA che dall’UE, insieme alla corruzione e all’incapacità intrinseca del regime hanno portato il paese verso una deriva dall’esito appunto esplosivo. Il mullà Rouhani ha il compito di affrontare questa situazione, evidentemente per conto dell’effettivo detentore del potere, cioè Khamenei. L’astuto cicisbeo incensato avrà il ruolo di elargire vacue parole e insipidi sorrisi alle cancellerie di mezzo mondo per permettere al regime teocratico di portare a termine il suo progetto vitale: l’arma nucleare. Ma i tempi sono cambiati, l’Occidente non può permettersi il lusso di essere ingannato ancora. Mentre il popolo iraniano - che nel Novecento ha fatto tre rivoluzioni con istanze democratiche - ora è in procinto di farne una per la fame, mentre i proventi petroliferi, prosperati in questi ultimi anni, sono stati spesi per il progetto nucleare, per sostenere Assad e i movimenti e gruppi terroristici nel mondo.

L’arrivo di Rouhani potrebbe far pensare che forse Khamenei, in preda ad una crisi acuta, sospenderà i progetti nucleari e cercherà un accordo con l’Occidente; ma le recenti mosse del regime indicano che si continuerà ad allungare il “negoziato” all’infinito, come accaduto finora. Nella sua prima conferenza stampa Rouhani si è detto pronto a mostrare più trasparenza e "fiducia reciproca" (parole vacue), ma le "sanzioni contro l'Iran sono ingiuste e ingiustificate". E l'Iran "non è pronto a sospendere l'arricchimento dell'uranio". Mentre il regime iraniano è presente massicciamente in Siria, Rouhani dichiara che l'Iran resta contrario a qualsiasi ingerenza straniera in Siria. Le crisi interne ed internazionali del regime iraniano hanno bisogno di risposte chiare e tempestive. Aspettarsi dal regime dittatoriale al potere in Iran la democrazia o la trasparenza - che non sono nelle sue corde - è pestare l’acqua nel mortaio. L’elezione di Hassan Rouhani non stupisce nessuno, se non le anime belle; essa è il risultato di una frattura del sistema e del suo capo Khamenei che già prima aveva architettato le elezioni eliminando Rafsanjani, l’unico che avrebbe potuto, forse, incrinare il suo potere assoluto.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:42