Usa patria dei “Leaks”, non dei complotti

Negli Stati Uniti si registra una vera e propria epidemia di “leaks” di notizie segrete trapelate alla stampa. L’ultimo, in ordine di tempo, a finire alla sbarra è un alto ufficiale delle forze armate, il generale James Cartwright, del corpo dei Marine, ex vicepresidente degli Stati Maggiori Riuniti dal 2007 al 2011 ed ora in pensione. L’accusa che gli viene rivolta, per la quale risulta ora indagato dalla magistratura, è quella di aver rivelato al New York Times dettagli segreti sulla creazione del virus informatico “Stuxnet”, che è stato in grado di paralizzare per mesi il programma nucleare dell’Iran. Il New York Times, l’anno scorso, aveva rivelato che “Stuxnet” fosse parte di un programma militare statunitense, l’Operazione Giochi Olimpici, varato ai tempi dell’amministrazione Bush e accelerato sotto l’amministrazione Obama.

Il virus “Stuxnet”, trasmesso ai computer industriali e dei centri di ricerca e sviluppo nucleare dell’Iran, nel 2010 aveva bloccato la produzione di almeno un migliaio di centrifughe usate per l’arricchimento dell’uranio, materiale fissile che può anche essere usato per la costruzione di armi nucleari. Gli effetti collaterali erano stati molto ampi. Altri computer avevano “contratto” il virus in altri Paesi, fra cui la Cina. Sollevando non pochi sospetti sull’intensità della cooperazione nucleare fra i regimi di Teheran e Pechino. Gli Stati Uniti hanno sempre negato, ufficialmente, di aver programmato il virus informatico. La propaganda iraniana e molti media europei avevano puntato il dito sul solito Mossad israeliano, accusato di aver programmato e diffuso il virus. Ma l’indagine, attualmente in corso, sul generale in pensione Cartwright, è sinora la maggiore implicita ammissione che l’arma informatica sia stata, effettivamente, confezionata dal Pentagono. Quella di “Stuxnet” è una vecchia storia. Oggi esistono altri virus informatici militari, come “Flame”, molto più potenti, versatili e invasivi.

La storia che maggiormente preoccupa e interessa l’opinione pubblica americana è proprio quella dell’epidemia dei “leaks”, di ufficiali e tecnici troppo chiacchieroni che svendono alla stampa notizie fondamentali per la sicurezza nazionale. I libertari e i progressisti li difendono nel nome della libertà di espressione. I conservatori (e non pochi democratici) come dei traditori della patria. Tutti sono sotto accusa, braccati o già in carcere. È in galera Bradley Manning, la principale fonte di WikiLeaks che ha permesso la diffusione in rete di decine di migliaia di documenti diplomatici segreti. Rinchiuso nel carcere di Fort Leavenworth, dopo 10 mesi di isolamento nel carcere militare di Quantico, Manning è diventato un caso internazionale. Juan Mendez, relatore speciale dell’Onu sulla tortura ha formalmente accusato gli Stati Uniti di trattamento crudele, disumano e degradante per la forma di detenzione inflittagli. Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, non intende rientrare negli Usa ed è tuttora rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Un altro “gola profonda”, Edward Snowden, che ha rivelato i segreti dello spionaggio informatico della National Security Agency, è in fuga dagli Stati Uniti. Attualmente si trova a Mosca.

Al di là del giudizio politico e morale sui nuovi “gola profonda”, la lezione che si può trarre è solo una: negli Stati Uniti è sempre più difficile mantenere un segreto. L’originaria cultura libertaria americana spinge a condannare la segretezza. La società dell’immagine sta trasformando questi “spioni” in vere e proprie celebrità, dando loro un ulteriore incentivo a parlare. Infine c’è anche la promessa iniziale dell’amministrazione Obama per una maggior trasparenza, tradita negli anni successivi, che ha indotto sempre più persone a conoscenza dei fatti ad implementare la nuova politica per conto proprio. Questa tendenza discredita, fra l’altro, la convinzione che gli Usa siano la patria dei complotti. C’è ancora chi è convinto che l’11 settembre sia il frutto di una cospirazione della Cia, che le Torri Gemelle e il WTC 7 siano stati abbattuti da cariche di dinamite preposizionate e non dagli aerei dirottati. Se lo fossero stati veramente, a quest’ora, a 12 anni di distanza, qualcuno avrebbe già fatto trapelare i dettagli del mega-complotto alla stampa. Gli “spioni” hanno dunque un indiscutibile merito, anche se involontario: aver distrutto definitivamente le teorie cospirative.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:40