Usa, sposi gay tra etica e federalismo

È una sentenza storica quella pronunciata mercoledì sera dalla Corte Suprema statunitense sul matrimonio gay. Nel nome del principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, 5 giudici contro 4 hanno respinto la sezione 3 della Legge in Difesa del Matrimonio (Doma è l’acronimo inglese), firmata da Bill Clinton nel 1996, con cui si stabilisce che il matrimonio è solo quello fra un uomo e una donna. La Corte ha invece rimandato alla California la disputa sulla Proposition 8, che bandisce, a livello statale, il matrimonio fra persone dello stesso sesso. La costituzionalità dell’unione omosessuale è rimandata a prossimi giudizi, dunque il dibattito non è affatto chiuso.

Tutt’altro che semplice, la questione del matrimonio gay in America è resa complessa non solo da argomenti di natura etica, ma anche dal dibattito eterno sul federalismo americano e da uno scontro di natura puramente economica. Da un punto di vista etico, la maggioranza della Corte Suprema ha approvato il parere del giudice Anthony Kennedy: la sezione 3 della Doma, «viola i principi fondamentali del giusto processo e dell’eguaglianza della protezione», perché il principale effetto della legge «consiste nell’identificare un sotto-gruppo di matrimoni, già approvati da legislazioni statali, rendendoli diseguali». Di conseguenza, il principale obiettivo della Doma è «imporre la disuguaglianza». Il giudice Anthony Scalia, che ha votato contro assieme ad altri 3 magistrati di minoranza, ha respinto questo argomento commentando successivamente: «Difendere i matrimoni tradizionali non vuol dire condannare, svalutare o umiliare chi preferisce altri tipi di unione, esattamente come il difendere la Costituzione degli Stati Uniti non vuol dire condannare, svalutare o umiliare altre costituzioni nazionali. Semmai, lanciare queste accuse svaluta questa istituzione», cioè la Corte Suprema.

Il giudice Kennedy ritiene di aver agito in difesa del federalismo statunitense e dei diritti degli stati, perché: «Il fine e l’effetto pratico della legge è quello di imporre una condizione svantaggiosa, uno status separato, un marchio di infamia a tutti coloro che contraggono matrimonio con persone dello stesso sesso, rispettando la legge dell’incontestata autorità del loro stato». In 12 stati americani il matrimonio gay è infatti legale. «L’importanza delle responsabilità degli stati nel definire e regolamentare i matrimoni risale ai tempi della nascita di questa nazione». Il parere di minoranza, come spiega il giudice Scalia, ritiene invece che la sentenza della Corte Suprema sia una minaccia ai diritti degli stati, perché: «Presuppone che la Corte Suprema sia posta al vertice dello Stato, dotata del potere di decidere su tutte le questioni costituzionali, sempre e comunque “prima” nel suo ruolo. Questa immagine della Corte non verrebbe riconosciuta da coloro che hanno scritto e ratificato la nostra Costituzione». In questo particolare caso: «Dichiarando che chiunque si opponga al matrimonio omosessuale sia un nemico della decenza umana, la maggioranza (dei giudici, ndr) ha dato un’arma legale formidabile ad ogni oppositore delle leggi statali che difendono il matrimonio nella sua definizione tradizionale».

Quanto al problema economico, non è affatto da trascurare. La parità fra matrimoni è soprattutto una questione di welfare. La Doma, proibendo al governo federale di riconoscere le coppie omosessuali, escludeva queste ultime da esenzioni fiscali e sussidi di cui le coppie etero hanno già diritto. Secondo il giudice Kennedy, la Doma: «rifiuta di accettare il principio in base al quale obblighi e benefici del matrimonio sono uguali per tutte le coppie entro i confini di ciascuno stato». Il problema, adesso, è che anche gli oppositori del matrimonio omosessuale dovranno pagare le tasse per i benefit di coppie che ritengono immorali. Anche per questo, il giudice Scalia, ritiene che la sentenza della Corte «diminuisca il potere del nostro popolo di governare se stesso». Come la fai la sbagli, verrebbe da dire. Il nodo della questione, oltre che nella visione della vita e dell’etica, sta proprio nella definizione del welfare. Nessuno, a parte qualche libertario di minoranza, propone di separare il matrimonio dallo Stato, eliminando a ogni forma di famiglia qualunque tipo di sussidio pagato dal contribuente. Ma finché ci saranno da pagare tasse per aiutare famiglie, la lotta per la definizione dei diritti di matrimonio sarà destinata a diventare sempre più dura.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:54