La guerra civile e il destino di Aleppo

Il recente vertice del G8 tenutosi in Irlanda, ancora una volta e dimostrando che non vi è una identità di posizioni tra i grandi Paesi sulla delicata crisi siriana, dove la guerra civile si perpetua da lungo tempo, ha fatto emergere l’impotenza e l’indifferenza della comunità internazionale nei riguardi di questo terribile e cruento conflitto civile. Recentemente è avvenuta la riconquista della città di Qusayr da parte dell’esercito regolare, che agisce e compie le sue azioni militari ricorrendo a qualsiasi tipo di armamento, pur di difendere e tenere in vita il vacillante e dispotico regime di Bashar Al Assad, definito sulla stampa internazionale “Sirian Killer”.

L’esercito regolare è riuscito in questa impresa militare, sottraendo la città di Qusayr agli insorti e ai ribelli che si oppongono al regime di Assad, poiché ha potuto contare ed ottenere il sostegno e l’aiuto degli Hezbollah. Nella comunità internazionale ha creato preoccupazione e suscitato grande sgomento la dichiarazione, che proviene dagli ambienti governativi siriani, secondo la quale il regime di Assad si accingerebbe ad attuare e mettere in campo un’azione militare per liberare Aleppo dagli insorti e ricondurre questa importante città, la più ricca del Paese, sotto il dominio politico del regime illiberale e dispotico di Damasco. Ancora una volta, durante il vertice del G8 in Irlanda, si è registrata e si è stati costretti a prendere atto dell’insuperabile divergenza tra Putin, che non vuole che siano forniti i missili terra-aria agli insorti, e il presidente Obama che, di fronte al dramma della guerra civile in Siria, mostra un atteggiamento che oscilla tra la preoccupazione e l’incapacità ad assumere una linea di politica estera che sia efficace e chiara nei suoi obiettivi.

Nel nostro tempo Aleppo è divenuta la città simbolo della vittoria degli insorti contro il regime autocratico di Bashar Al Assad, poiché questa città è stata liberata dalla presenza dell’esercito regolare del regime dai ribelli e dagli insorti, senza che vi sia stato l’aiuto e il sostegno della comunità internazionale. I ribelli, che hanno il dominio politico sulla città di Aleppo, si oppongono sia alla dittatura di Damasco sia al rischio rappresentato dall’islamismo radicale. Dovrebbe destare grande timore e forte preoccupazione la dichiarazione del governo di Assad negli ambienti internazionali, giacché esiste il rischio che, pur di abbattere e superare la resistenza degli insorti di Aleppo, il regime non esiti a compiere azioni cruente e devastatrici, che potrebbero provocare ulteriori morti tra i civili, e produrre gravi danni alla città, ricca di storia e cultura. Infatti, com’è stato denunciato da autorevoli esponenti del mondo della cultura, il regime di Assad ha già fatto ricorso alle armi chimiche, superando la linea rossa tracciata dalla comunità internazionale, la quale in presenza di questo grave e inaspettato fatto e di questa sconvolgente novità ha ostentato indifferenza e un’incomprensibile e inaccettabile impotenza.

La comunità internazionale e la classe dirigente delle maggiori democrazie occidentali non pare che siano turbate e scosse più di tanto da un dato terribile e doloroso: il conflitto civile in Siria, che vede contrapposto il regime autocratico di Assad ai ribelli che sognano e aspirano alla democrazia e alla libertà, ha prodotto fino a questo momento la morte di oltre centomila civili. Per capire cosa voglia dire riprendersi la città di Aleppo, nel linguaggio adoperato dal regime di Assad, è sufficiente meditare sui metodi adoperati in questi due anni di guerra civile, dolorosa e terribile, durante la quale si è tentato in tutti i modi di soffocare e spegnere l’insurrezione dei ribelli, spingendosi anche a distruggere ogni cosa, in modo da infliggere una sorta di punizione a chi si oppone alla dittatura. Come ha ricordato in un suo bellissimo articolo il filosofo francese Bernard Henri Levy, apparso domenica scorsa sulle colonne del Corriere della Sera, Aleppo è una città che, per la sua storia e la ricchezza inestimabile del suo patrimonio artistico e culturale, appartiene all’umanità intera. Infatti ad Aleppo, così come è avvenuto in altre città importanti del mondo antico, come Atene, Babilonia, Susa o Persepoli, è stata inventata e creata la civiltà urbanistica, che si è sviluppata lungo i secoli. Aleppo è una città che, durante la sua secolare e lunga storia, è stata sotto l’influenza degli Ittiti e di Alessandro Magno, dei Romani, dei Califfi, degli Omayyadi, dei Mongoli e di Saladino. Durante il Medioevo Aleppo fu il punto di approdo della celebre “Via della seta”.

Per comprendere il rischio e il pericolo che la guerra civile possa distruggere e ridurre in un cumolo di macerie questa importante città della Siria, si deve ricordare e tenere presente che Aleppo fu il crocevia, lungo i secoli, di lingue, religioni, popolazioni e culture che si sono contaminate e mescolate fra di loro, lasciando tracce notevoli sul piano artistico della loro presenza. Infatti in questa città vi è stata la pacifica convivenza tra arabi, turchi, curdi, ebrei, veneziani, armeni, cristiani siriaci e copti. Esiste il rischio che la guerra civile possa portare e condurre all’annientamento delle opere d’arte che vi sono ad Aleppo, il bazar con le porte di legno scolpite, il mercato famoso per le sue spezie, i tanti monumenti disseminati nel centro storico di grande valore culturale, la cittadella, che è stata descritta ed evocata dai poeti e dagli scrittori nelle loro opere letterarie. Assistere impotenti alla distruzione di Aleppo significherebbe tollerare che sia commesso un crimine contro lo spirito e la cultura universale, a cui appartiene questa città meravigliosa e importante. Nel recente passato si è permesso che venisse, vent’anni fa, bombardata Dubrovnik, che fosse incendiata la biblioteca di Sarayevo, che fossero distrutti i Buddha di Bamiyan dai talebani afghani, che venissero dati alle fiamme i testi sacri di Timbuctu dai fondamentalisti islamici maliani.

La comunità internazionale non può rimanere inerme e indifferente mentre Aleppo è esposta al rischio di subire la stessa sorte. Se questo accadesse, verrebbe ridotta in macerie e annientata una città che, per la sua storia e importanza artistica, appartiene all’umanità e alla civiltà universale. La ipotetica ed eventuale capitolazione politica di Aleppo, città nella quale si trovano asserragliati gli insorti e i ribelli che vogliono e desiderano liberare la Siria dalla dittatura di Assad, avrebbe delle implicazioni politiche. Infatti, nel caso in cui Assad riuscisse a riprendersi e ad impadronirsi di Aleppo, questo fatto politico implicherebbe un mutamento dei rapporti di forza nel contesto della cruenta guerra civile a vantaggio del suo regime illiberale e autocratico. Inoltre la probabile e temuta caduta di Aleppo nelle mani dell’esercito regolare di Assad, come i migliori analisti sostengono, rischia di segnare la fine della insurrezione, il rafforzamento e la resurrezione politica del regime di Damasco, e segnerebbe la fine delle primavere arabe, il cui inizio risale a due anni fa e che tante aspettative aveva suscitato nel mondo arabo, il quale sogna la libertà e agogna la modernizzazione laica dell’Islam. Si spera che la comunità internazionale impedisca che questo fosco e terribile scenario politico possa divenire possibile e prendere forma in Siria, dopo due anni di una sanguinosa e dolorosa guerra civile.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:35