Siria: jihadisti europei, alleati involontari

Retata di otto sospetti jihadisti a Ceuta, enclave della Spagna sulla costa settentrionale del Marocco: l’accusa, nei loro confronti, è di aver reclutato guerriglieri, tutti diretti in Siria. In Italia abbiamo appena avuto il caso di Giuliano Ibrahim Delnevo, volontario islamico, morto nella battaglia di Qusair, mentre combatteva nelle file dell’organizzazione jihadista Al Nusrah (legata ad Al Qaeda). Sono tutte storie simili, con molti nomi, Paesi e sigle in comune. L’indagine in corso a Genova rivela, per ora, che Delnevo stesse reclutando altri jihadisti, proprio come gli otto uomini e ragazzi (fra cui alcuni minorenni) arrestati ieri nella Spagna marocchina. Il percorso di conversione del volontario italiano è iniziato ad Ancona, ma il suo ingresso nell’ambiente jihadista (oltre che il suo allontanamento dalla comunità musulmana italiana), sempre stando alle indagini in corso, sarebbe partito dalla conoscenza di un gruppo radicale marocchino, che ha teste di ponte in Italia. Anche gli otto arrestati di Ceuta, facevano la spola fra l’Europa e il Nord Africa.

Il Marocco è terra di confine: il suo regime è moderato e bandisce lo jihadismo. Ma nelle pieghe del Paese e nella lunga guerra dell’indipendentismo dei Saharawi, Al Qaeda ha affondato le sue radici. Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb) vive di donazioni, contrabbando e soldi estorti con il rapimento di civili occidentali. Attualmente, assieme al Pakistan e allo Yemen, il Sahara è uno dei principali “terreni di caccia” per la rete del terrore orfana di Bin Laden. Le storie che si accavallano sono due, una vecchia e una molto recente. E’ una storia vecchia quella delle “cellule dagli occhi azzurri”, reclutate da Al Qaeda direttamente in Europa, non solo fra gli immigrati mediorientali, ma anche fra gli stessi europei convertiti all’Islam. E’ una storia vecchia, appunto, nota già ai tempi del reclutamento di volontari jihadisti in partenza per le guerre in Bosnia (1992-1995) e in Kosovo (1998-1999). All’epoca le nostre autorità erano bendisposte a chiudere un occhio o due: i nostri interessi coincidevano con quelli dei musulmani, sia in Bosnia che in Kosovo.

In entrambi i casi la Nato è intervenuta dalla loro parte. Poi c’è stato l’11 settembre 2001, mega-attentato compiuto dalla cellula di Al Qaeda di Amburgo. E l’Europa si è risvegliata nell’incubo di avere un nemico in casa. Madrid, Londra, le violenze seguite alla pubblicazione delle vignette su Maometto in Danimarca sono tutte tappe di un percorso di risveglio di un pericolo jihadista interno. La storia più recente è quella della guerra siriana e delle brigate internazionali che vanno a combattere su quel fronte. Non c’era solo Delnevo: stando a fonti del Corriere della Sera potrebbero essere fino a cinquanta i volontari italiani in Siria. Non tutti sarebbero radicali islamici, alcuni non sono nemmeno musulmani, ma hanno sposato la causa dei ribelli, fino a rischiare la vita. Non ci sono solo italiani, ovviamente. Il volontario genovese morto a Qusair sarebbe entrato in Siria dal confine turco, assieme a un gruppo costituito da inglesi e ceceni.

Torna alla mente Michael Abedolajo, cittadino britannico che ha sgozzato un soldato a Londra: aveva in programma di andare a combattere in Siria, prima di decidere di condurre la jihad nella sua stessa città. Ed è impossibile non pensare alla Cecenia, terra di guerre infinite, da cui provenivano i fratelli Tsarnaev, gli attentatori di Boston. La Cecenia sta conquistandosi un ruolo di guida nella guerriglia islamica siriana. Uno dei più famosi leader del Fronte Islamico è chiamato “Al Shishi”, “il ceceno” in lingua araba. La resistenza siriana non è tutta jihadista: i gruppi legati ad Al Qaeda contano, al massimo, 10mila uomini e hanno un comando autonomo. Mentre il grosso degli insorti combatte sotto le insegne dell’Esercito Libero Siriano, forte di circa 100mila uomini, che include anche integralisti islamici, ma soprattutto cittadini comuni, disertori dell’esercito regolare, anche cristiani. Lo jihadismo, però, sta conquistando i cuori e le menti, sia in Siria che all’estero. Al Nusrah e le più piccole unità del Fronte Islamico hanno le loro compagnie di comunicazione che fanno propaganda a livello internazionale, usando Internet in modo molto efficace. Hanno dei propri governi ombra, che sono gli unici , attualmente, a ricostruire le zone di guerra e a fornire servizi umanitari alla popolazione.

Per questi motivi, la guerra siriana sta diventando il terreno più fertile della nuova jihad, come l’Iraq e l’Afghanistan nel primo decennio dei 2000. Di fronte a questo fenomeno, l’Europa e gli Usa si trovano in una posizione imbarazzante. Gli Usa hanno deciso solo una settimana fa di mandare armi all’Esercito Libero Siriano, che combatte dalla stessa parte dei qaedisti. Francia e Regno Unito hanno fatto da subito una scelta di campo al fianco dei ribelli. Fra Els e Al Nusrah c’è un rapporto ambiguo, entrambi negano di cooperare fra loro, ma combattono assieme in un’alleanza “di fatto”. E’ quasi del tutto impossibile verificare sul campo che le armi fornite all’Els non finiscano nelle mani dei guerriglieri di Al Qaeda. Con che faccia arrestiamo gente che noi stessi contribuiamo ad armare? Come affrontiamo e come affronteremo, nei prossimi mesi, il problema delle “cellule dagli occhi azzurri”, all’epoca della guerra contro Assad?

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:47