Festeggiare il 2 giugno negli Stati Uniti

Il Consolato di New York ha sede a Park Avenue, a fianco al nostro Istituto di Cultura, ed è un punto di riferimento fondamentale per una comunità che è di gran lunga la più numerosa tra quelle che si riferiscono ai diversi Consolati Italiani sparsi per tutto il territorio americano. Nella storia dell'emigrazione italiana, come nell'immaginario collettivo di ancora oggi, New York è l'America, è il sogno, è la speranza, la città dove tutto è possibile. E' allora particolarmente delicato ed importante il ruolo di massimo rappresentante del nostro Paese, in una città che vede la presenza di diverse altre istituzioni italiane tra le quali anche un'Ambasciata, quella presso le Nazioni Unite. Dal 2011 questo Consolato è retto da Natalia Quintavalle, coadiuvata brillantemente dal Vice Console Generale Laura Aghilarre e dai due Vice Consoli Lucia Pasqualini e Dino Sorrentino. Incontriamo il Console Quintavalle in occasione dei festeggiamenti per il 2 giugno, la nostra festa nazionale molto sentita presso la comunità italiana in America.

Console Quintavalle, Lei è alla guida del Consolato che insiste sul territorio americano in cui vive il maggior numero di cittadini statunitensi di origine italiana. Non è un caso che sia il Consolato di New York, l’ombelico del mondo. Ci può dare qualche dato circa gli Stati e agli italiani d’America che appartengono alla superficie di vostra competenza?

La giurisdizione del Consolato Generale a New York copre gli Stati di New York e Connecticut, cui si aggiungono le isole Bermude, possedimenti britannici. Si tratta in assoluto della circoscrizione con il più alto numero di Italiani negli Stati Uniti. Parliamo di circa 62.000 italiani registrati presso il Consolato, ma non tutti i connazionali che si fermano per più di un anno  e che sarebbero tenuti a registrarsi, in effetti lo fanno. Vanno inoltre considerate anche le varie migliaia di Italiani che soggiornano a New York per periodi inferiori all’anno e l’elevatissimo numero di turisti.

Ma la presenza italiana a New York più significativa sia numericamente, sia per l’impronta che ha lasciato sul paesaggio urbano, sulle istituzioni e nella vita sociale della città è quella di oltre un milione di italo americani, che hanno dato vita a numerosissime associazioni a carattere regionale o tematico. La stessa storia politica di New York ci ricorda quanto gli italiani hanno dato a questa città. Figure come Fiorello La Guardia, Mario Cuomo, Rudolph Giuliani ed ora Andrew Cuomo sono solo l’espressione più visibile dell’italianità di NY.

Festeggiare all’estero il 2 giugno è un’esperienza differente dal farlo in Italia, a nostro avviso. Cosa organizza quest’anno il Consolato? In generale, cosa significa per chi è all’estero la nostra festa nazionale?

E’ vero, la festa della Repubblica ha un sapore diverso all’estero. Celebrarla in una città in cui si mescolano così tante nazionalità, ognuna con il suo “national day” e in un giorno in cui tutti continuano a svolgere la loro abituale vita lavorativa, significa soprattutto, dal mio punto di vista, porre l’accento sul significato che quel giorno rappresenta per il nostro Paese e contribuire a far conoscere la grande cultura italiana.

Così lo scorso anno abbiamo tentato l’esperimento di tenere aperte per tutto il giorno le istituzioni italiane di New York (oltre al Consolato, anche ICE, Istituto di cultura e scuola d’Italia) con concerti, esposizioni di quadri, proiezione di film e anche promozione del nostro territorio (a cura dell’ENIT) e delle nostre eccellenze enogastronomiche con seminari e degustazioni di vini. L’esperimento ha avuto successo e così il prossimo 2 giugno proporremo un programma simile, ma con un accento diverso. Molto spazio sarà dedicato quest’anno alla musica jazz con vari concerti che si alterneranno fra l’Istituto, l’Ice ed il Consolato. Vi saranno poi una mostra di quadri dell’artista contemporaneo Antonio Nunziante, una mostra dal suggestivo titolo “Vivere alla Ponti” sugli oggetti creati da Gio’ Ponti, una bella mostra fotografica dell’ANSA su vari aspetti della cultura italiana con un accento sull’innovazione, ed una mostra d’eccezione sui reperti recuperati negli Stati Uniti dal Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. Siamo molto riconoscenti al Ministero per i beni e le attività culturali e ai Carabinieri per averci consentito di esporre questi reperti bellissimi. Questa iniziativa ci consente infatti di far conoscere meglio il problema del traffico illecito delle opere d’arte e le tecniche investigative utilizzate dal reparto per la tutela del patrimonio culturale. La mostra è inserita nel programma “2013, anno della Cultura italiana negli Stati Uniti”.

La novità più “visibile” delle celebrazioni di quest’anno sarà l’esposizione e vendita di libri sull’arte e la letteratura italiana curata da Rizzoli Bookshop che si terrà sul marciapiede di fronte al Consolato, alla quale saranno collegate alcune iniziative dedicate alla lettura.

L’Italia vive oggi un momento difficile. Sappiamo però di essere apprezzati negli Stati Uniti, e non solo dagli italoamericani. Cosa possiamo imparare noi italiani di oggi dalla stima e dal gradimento per le nostre qualità?

E’ senz’altro vero che gli americani amano ed apprezzano l’Italia e hanno una spiccata simpatia per gli italiani. Noi siamo invece un po’ troppo scettici circa le nostre capacità di innovazione e un po’ “seduti” sul nostro passato. Dagli americani possiamo quindi senz’altro imparare ad essere più ottimisti e al tempo stesso più concreti, per poter mettere a frutto la nostra creatività ed intelligenza. L’esempio tipico è quello della valorizzazione dei beni culturali, un settore nel quale gli americani hanno molto da insegnarci.

Anche da qui, assistiamo ad alcuni reality show che danno degli italoamericani – soprattutto dei giovani - una sgradevole rappresentazione. Alcuni di essi sono ambientati nello Stato del New Jersey. La nostra opinione è che siano rappresentativi solo di una piccolissima minoranza dei nostri connazionali d’America. Lei che ne pensa?

La comunità italo-americana da sempre si batte contro gli stereotipi sugli italiani presenti nel mondo del cinema e della televisione. Le storie di discriminazione e di difficoltà che i nostri immigrati hanno spesso affrontato sono ancora fresche nella memoria della nostra collettività ed è naturale che tale battaglia prosegua.

Gli italiani, d’altro canto hanno dato un grandissimo contributo allo sviluppo di questo Paese e personalità italo-americane si sono affermate nel cinema, nella musica, nella letteratura e nella vita politica degli Stati Uniti, e questo ci viene riconosciuto da tutti.

Se la storia della nostra collettività è segnata da episodi collegati alla criminalità organizzata, lo è sia dalla parte dei mafiosi, sia dalla parte dei poliziotti che l’hanno combattuta.

Il cinema e la televisione (ed in particolare il cattivo cinema e la brutta televisione) trasmettono talvolta un’immagine falsata della società in cui viviamo e questo si applica a tutte le categorie della vita sociale e a tutte le etnie. Il modo migliore per combattere gli stereotipi credo sia, per ciascuno di noi, rispettare le norme che regolano la vita del paese nel quale viviamo forti del nostro bagaglio culturale.

Siamo a New York, e certamente ogni giorno Lei ha mille cose da valutare, persone da incontrare, progetti da sviluppare. Ci racconta un aneddoto, una piacevole scoperta, una curiosità capitata nel corso del suo lavoro qui?

Estremamente piacevole e di grande soddisfazione è stato ricevere i ringraziamenti di alcuni americani amanti dell’opera per essere riusciti, non senza difficoltà e grazie al successo del fund raising presso imprese italiane e privati italo americani, ad avere per questa e la prossima stagione, i sottotitoli italiani al Met per le opere italiane. Piacere che si rinnova ogni volta che vado all’opera e che sfoglio il Playbill e verifico che i ringraziamenti per il Consolato e gli sponsor sono ancora lì a testimonianza del successo della nostra battaglia.

La scoperta più piacevole resta però senz’altro l’alta professionalità del mio staff, il loro attaccamento al nostro Paese e l’attenzione che riservano ai bisogni della collettività. Senza il loro eccezionale contributo, nessuna delle iniziative fin qui realizzate sarebbe stata  possibile.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:34