Le mille sfide per la città del futuro

Demografia, futuro urbano, baraccopoli, cooperazione e sviluppo, Vesuvio. Parla Tomas Melin, responsabile per i rapporti internazionali del Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-Habitat ONU).

La città in assoluto più sostenibile, non è quella con meno persone? Quindi che consuma meno territorio, che richiede meno energia, che produce meno rifiuti ? Tentare di disinnescare la bomba demografica non è il punto di partenza -secondo lei- per avere città più sostenibili? Partendo da questo assunto, UN-Habitat non dovrebbe tentare prima di tutto di richiamare gli Stati membri ad un dibattito serio sul "controllo" delle nascite ? (Controllo democratico, culturale, nonviolento, non come quello cinese…).

Devo cominciare col dire che le Nazioni Unite hanno una struttura composta da molti membri e un mandato poco chiaro quindi è difficile capire chi dovrebbe lavorare su un determinato argomento e per quanto riguarda la popolazione c’è un’altra agenzia delle Nazioni Unite che si occupa e discute di questo con gli Stati Membri; tuttavia penso che noi in UN Habitat, responsabili delle città sostenibili possiamo dare un importante contributo perché la gente si sta spostando verso le città, adesso molti individui nascono in città piuttosto che in aree extraurbane e stiamo avendo un tipo di urbanizzazione che è favoloso e diverso da quello a cui abbiamo assistito precedentemente, un’urbanizzazione che sta portando più persone nelle città ma che allo stesso tempo richiede più spazio per ogni individuo, quindi se una città del mondo raddoppia, di solito la terra che questa usa quadruplica. Questo certo con differenze da regione a regione, ma è un trend, la densità nelle città è stata davvero diluita, otteniamo città meno efficienti quindi i 7 miliardi di persone che abbiamo nel Mondo, la metà delle quali vive in città, usano molto più territorio di quello che davvero necessiterebbero. Se potessimo convincere gli Stati Membri a creare un altro tipo di città, allora sarebbe più semplice gestire la questione dei trasporti, del cibo e tutti bisogni di cui una popolazione in aumento ha bisogno.

Raddoppia la popolazione delle baraccopoli, un milione di residenti a settimana nei villaggi del terzo mondo. Prendiamo come esempio Lagos, la megalopoli maggiore dell'Africa sub-sahariana: Case di latta, fumi ovunque, bambini tra mucchi di rifiuti, masse di persone in movimento. Ecco , qual'è l'aiuto concreto che Un-habitat porta in queste zone dove povertà, miseria e crimine si impongono?

Ecco, adesso stai toccando un argomento che costituisce l’esempio più visibile del fallimento delle città nel mondo sotto molti punti di vista. Le baraccopoli sono di fronte ai nostri occhi anche se non è chiaro quante ce ne siano visto che in ogni paese ci sono diverse statistiche che utilizzano approcci diversi nei loro calcoli e quindi non sappiamo se nel mondo ci siano 800 milioni o 1 milione o 1 miliardo di persone che ci vivono, ma i numeri sono più o meno questi e come hai detto tu stanno aumentando. Il problema con le baraccopoli è sicuramente che innanzitutto non sono un problema in se stesso ma costituiscono il risultato di altri problemi: quindi abbiamo Stati che non sono stati in grado di affrontare, per ragioni diverse, il planning delle loro aree urbane. Non hanno una visione a lungo termine, mancano forse di regolamenti, di personale qualificato che possa gestire una pianificazione della società e questo significa innanzitutto che il problema delle baraccopoli di solito non viene trattato nelle baraccopoli stesse, ma viene affrontato invece principalmente negli uffici dei Sindaci o dei Ministri che abbiano dichiarato pubblicamente di voler fare qualcosa a riguardo. Le baraccopoli sono estremamente produttive, le persone che ci vivono devono veramente battersi per sopravvivere, desiderano moltissimo dare il proprio contributo allo sviluppo della società, costruire le loro case – lo hanno già fatto in realtà. Questo significa che queste persone costituiscono vere risorse. Di solito la discussione quando si parla di baraccopoli rimanda al fatto che le società debbano avere una certa struttura. Il problema più grande delle baraccopoli è che non parliamo solo delle baraccopoli che già ci sono, ma anche di quelle che si stanno creando adesso, quindi quando parliamo delle differenti soluzioni con i Governi, gli diciamo che è necessario lavorare nelle baraccopoli esistenti con le persone che ci vivono, ma allo stesso tempo bisogna prevenire che se ne formino di nuove e questo è quello che stavi indicando nella tua domanda. Noi diciamo che tutte le città nel mondo devono avere un piano, anche uno molto semplice, ma devono averlo. Cosa faremo nei prossimi 10-15 anni ? Se la nostra popolazione raddoppierà come identificheremo quelle aree dove le persone possano davvero organizzare le loro case, le loro vite e il lavoro e la scuola e così via?

Alla fine degli anni '70 le Nazioni Unite pubblicarono un rapporto che prevedeva per il 1979 40 milioni di morti per fame e per denutrizione e denunciava il mancato adempimento dei paesi industrializzati di destinare lo 0,7% del PIL alla cooperazione allo sviluppo. Il Partito Radicale lanciò una campagna per un intervento straordinario “contro lo sterminio per fame nel mondo”. Oltre 100 Premi Nobel sottoscrissero un appello presentato il 24 giugno 1981 in diverse capitali europee. I parlamentari radicali riuscirono ad ottenere la convocazione straordinaria in pieno agosto del Parlamento italiano che approvò una mozione che impegnava il Governo a destinare a questo scopo 3mila miliardi di lire: la cifra avrebbe elevato di almeno dieci volte l’irrisorio stanziamento italiano destinato alla cooperazione. Secondo lei adesso avremmo bisogno di qualcosa del genere ?

La cooperazione allo sviluppo è sicuramente molto importante a livello globale. Non si tratta solo di trasmissione di fondi dai Paesi più sviluppati agli altri Paesi; anche la trasmissione delle loro conoscenze, la creazione di partnership e il dialogo sono parte di quello che viene dato dai Paesi impegnati nella cooperazione. Oggi con la crisi finanziaria nel mondo la cooperazione allo sviluppo deve affrontare nuove sfide perché la somma dei fondi disponibili non è la stessa di qualche anno fa. Ma dobbiamo ricordarci che in realtà non è la cooperazione allo sviluppo che cambierà e salverà il mondo da sola, abbiamo molti altri processi nel mondo: ci sono altri tipi di donatori diversi dagli Stati come le fondazioni e altre strutture che oggi stanno prendendo parte allo sviluppo oggi molto di più rispetto agli anni passati. Inoltre una parte importante dei finanziamenti è trasmessa dalle persone emigrate sia in maniera permanente sia in maniera circolare: i fondi trasmessi con le rimesse sono in realtà consistenti, e spesso in alcuni Stati di gran lunga maggiori, dei fondi della cooperazione allo sviluppo. Inoltre bisogna considerare il fatto che oggi abbiamo un mondo migliore rispetto a quello che avevamo qualche anno fa; anche se forse ci focalizziamo principalmente sui problemi, ma se guardiamo i dati ci stanno davvero meno conflitti, meno denaro speso per questa ragione e quindi impiegato per altre questioni. Gli Stati quindi hanno una maggiore conoscenza riguardo a dove investire questi diversi tipi di fondi negli altri Paesi. Ora il mondo sta cambiando e stiamo entrando nell’era urbana e questo è stato riconosciuto dagli Stati che si stanno urbanizzando mentre la cooperazione allo sviluppo non ne ha veramente preso atto, da qualsiasi parte della mappa della cooperazione allo sviluppo di cui stiamo parlando. Sul totale dei fondi investiti nei Paesi in via di sviluppo solo una parte molto limitata viene destinata alle aree urbane rispetto a quella che, da un punto di vista più tradizionale, la cooperazione allo sviluppo ha destinato ad altri settori: educazione, salute, sviluppo rurale, energia e così via. Ora nel mondo urbanizzato non cerchiamo un ragionamento a compartimenti stagni, ma qualcosa che sia davvero multisettoriale e abbiamo bisogno di un tipo di approccio diverso, quindi bisogna che i diversi attori della cooperazione allo sviluppo riconoscano che la situazione nelle città è critica e che c’è bisogno di investimenti. Quindi la risposta alla tua domanda è che certo abbiamo bisogno di misure speciali ma dobbiamo realizzare che c’è una mancanza di fondi, abbiamo una crisi finanziaria e quindi sarà difficile per le Nazioni Unite andare a chiedere ai Paesi in crisi più fondi mentre questi hanno già problemi da risolvere nel loro territorio. Quello che si potrebbe invece chiedere sarebbe un cambiamento di pensiero riguardante il come utilizzare le risorse che già si possiedono.

Emma Bonino, il nuovo Ministro degli esteri, era all'epoca tra i promotori di quella battaglia, poi lo è stata per altre grandi battaglie come la moratoria universale sulla pena di morte, l'istituzione del tribunale penale internazionale, la messa la bando delle mutilazioni genitali femminili. La conosce? Pensa che potrebbe essere la persona adatta per gli aiuti allo sviluppo e alla cooperazione?

No, non la conosco personalmente, ma tutte le cose che hai detto, che lei ha sempre lavorato su questioni collegate alle persone, e io rispetto da sempre le persone e i politici che prendono posizione e aiutano determinati gruppi. Io lavoro con le città e posso dire che le città riguardano anche le persone e oggi la maggior parte delle persone del mondo, sono quindi sicuro che potremmo lavorare con le persone per fare sì che le città del mondo funzionino, perché quello che succede con le città è che se funzionano portano una prosperità al Paese che può essere condivisa tra i gruppi al suo interno che ne hanno bisogno; se la città non funziona si ha instabilità politica e problemi e questi colpiscono sempre in maniera maggiore le popolazioni più povere del mondo. Se noi, insieme ad Emma, riusciamo trovare un modo per fare funzionare le città, ridurremo i problemi per i poveri nelle città.

In Italia, per quanto riguarda le città , abbiamo delle grandi emergenze. Il caso Napoli: una città circondata da due vulcani tra i più pericolosi al mondo (il vesuvio e i campi flegrei) a roma forse siamo i peggiori in termini di mobilità. sono stati costruiti interi quartieri (non serviti di rotaie e trasporto pubblico), attorno a centri commerciali di grandi proprietari-in zone esterne alla città, inseguendo non logiche di pianificazione ma di rendita fondiaria. Si sono quindi creati i presupposti per il degrado e l'alienazione sociale. Ancora per quanto riguarda il territorio italiano, la maggior parte delle nostre città è a rischio sismico e a rischio idrogeologico, ma l'accavallamento di responsabilità, di ministeri e di competenze non ha mai permesso una riforma vera e propria della disciplina urbanistica. Secondo lei - per l'idea che si è fatto- potremmo avere bisogno di un solo ministero specifico che si faccia carico dello sviluppo urbano come negli Stati Uniti?

Senza esprimere un commento specifico sul caso italiano, permettimi di dire che l’urbanizzazione c’è sempre stata ed è andata avanti, molto lentamente al principio e ora più velocemente, quindi abbiamo improvvisamente un’enorme urbanizzazione nel mondo. Ora la maggior parte dei Paesi con cui UN Habitat lavora non è preparata a questo perché ha un’organizzazione funzionale della società, del governo, che è strutturata secondo una vecchia logica e questo significa che pochissimi Stati hanno un ministero per lo sviluppo urbano o per l’urbanizzazione. Solo pochi Paesi sono provvisti di documenti contenenti linee programmatiche che indichino come verranno gestite le nostre città. Questo è certamente un bisogno fondamentale quando si vive nell’era dell’urbanizzazione. Non sto parlando solo dei Paesi in via di sviluppo, ci sono molti Paesi nell’ emisfero Nord che non hanno questo tipo di documenti di base che servono per la pianificazione urbana nazionale, né una parte delle istituzioni specificamente destinata al lavoro con le città, e questo è molto particolare perché le città sono multi settoriali e la maggior parte dei Ministeri, ma anche il mondo dell’educazione accademica è molto monocentrico nelle funzioni; potrai scegliere percorsi educativi quali ingegneria del traffico o economia o macroeconomia, molto specializzati, ma quando hai a che fare con le città – puoi chiedere a qualsiasi sindaco – allora bisogna avere un approccio multisettoriale e questo significa che bisogna cambiare la propria organizzazione nei diversi Paesi per essere più preparati. Tra le cose per cui bisogna essere molto preparati ci sono quelle che hai menzionato ovvero i diversi rischi e la capacità di resistenza/flessibilità delle città, per arrivare ad avere una situazione più globale quando bisogna affrontare allagamenti, terremoti e altri tipi di rischi. Abbiamo un esempio: UN Habitat sta lavorando attivamente ad Haiti dopo il terremoto e se ti ricordi poco dopo il disastro sismico ad Haiti c’era stato un terremoto simile in Cile ma il numero di vittime era stato molto limitato perché il Cile aveva adottato regolamenti migliori e era più preparato riguardo l’area di costruzione, quindi abbiamo avuto quasi lo stesso terremoto ma con meno vittime. E questo è quello che un piano urbano nazionale stabilisce e UN Habitat sta lavorando con molte città e Paesi nel mondo in merito alla flessibilità delle città ai disastri. Come possiamo prepararci, come città, a quello che potrebbe accadere? Quali sono i nostri problemi, in futuro cosa possiamo prevedere che succeda e come possiamo prepararci ad affrontarlo? Stiamo anche organizzando un indice così che le città possano valutarsi e vedere quanto sono preparate in relazione all’anno precedente, fissare gli obiettivi per l’anno successivo e possono quindi fare una comparazione delle loro attività. Noi pensiamo che se si forniscono gli strumenti e i sistemi di misurazione alle città, allora queste hanno una possibilità di fare quello che devono fare. Ripeto nuovamente, quando c’è un disastro è sempre la parte più povera della società che risulta la più colpita, quindi questi tipi di impegno sono specificamente necessari per assicurare che quelli che non possono permettersi di essere coinvolti in questi tipi di disastro siano posti in una situazione migliore.

Tornando al vesuvio poi chiudiamo, sono circa 3 milioni le persone che vivono in una situazione dichiarata dalla scienza di tutto il mondo e dalla protezione civile ad alto rischio, rischio vulcanico. tutto ciò è stato permesso dai governi che in questi anni si sono susseguiti nel terriorio napoletano e dagli infiniti condoni. di tutto questo in italia non si parla. i radicali hanno denunciato lo stato italiano alla corte europea dei diritti dell'uomo. volevo conoscere su questo una sua opinione.

Il sistema delle NU è un sistema creato dagli Stati del mondo e quando lavoriamo in diversi Paesi lo facciamo secondo la legislazione, le politiche e i processi che sono attivi al momento in questi Paesi. Alcuni Paesi ci chiamano chiedendoci di venire a fare determinate cose e noi le facciamo sempre collaborando con il Governo centrale e locale. Ora la situazione di cui parli è qualcosa che è collegato alla legislazione presente nel Paese ma anche probabilmente molto collegato alla situazione per le famiglie, per la gente. Dobbiamo tenere in mente che non è il Governo che decide dove deve vivere la gente, sono le persone che decidono dove vivere e loro decidono che vorrebbero fare questa cosa e quell’altra quando si tratta di fissare le priorità, qualcuno decide di vivere più vicino, qualcuno preferisce vivere più lontano, qualcuno vuole vivere dove gli antenati hanno vissuto per generazioni, e altri hanno diverse priorità. In questo caso credo che la questione sia di assicurare che ci siano possibilità di scelta perché molto spesso ci si trova in certe situazioni, come una baraccopoli in Africa oppure la situazione che hai descritto tu, perché queste persone non hanno i mezzi economici oppure si trovano in condizioni che impediscono loro di fare la scelta che vorrebbero. Potrebbe essere una mancanza di informazione, forse non sanno, potrebbe essere l’assenza di responsabilità di chi concretamente comincia tali processi con queste persone - sembra una città grande. Ci sono esempi nel mondo dove intere città sono state spostate a causa di certi rischi/determinate situazioni, questo succede. Un esempio: c’è un network globale delle città che sono state forzate a cambiare posizione attraverso il quale tali città si aiutano reciprocamente. Poi la decisione sulle misure da intraprendere spetta alle autorità locali nell’area interessata ma UN Habitat lavora con tutti i Paesi che vogliano cominciare un dialogo con noi e noi siamo non solo un meccanismo di recupero delle baraccopoli o di pianificazione urbana che lavora nei Paesi in via di sviluppo quindi questi sono problemi che possono essere discussi anche con noi se l’Italia volesse andare oltre i propri confini in modo da poterli discutere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:42