L’Ue armerà i siriani? O i terroristi in casa?

L’Unione Europea sta rimettendo in discussione l’embargo sulle armi imposto alla Siria, all’inizio della guerra civile. La misura restrittiva scadrà il prossimo 31 maggio e soprattutto Francia e Gran Bretagna stanno premendo perché non venga rinnovata, in modo da consentire un maggiore (e alla luce del sole) flusso di armi anche ai ribelli. Il momento in cui viene proposta la fine dell’embargo non poteva essere più significativo. Proprio in questi giorni, infatti, Francia e Gran Bretagna sono state colpite da attentati dichiaratamente jihadisti. E sono proprio queste due nazioni a voler consegnare armi all’esercito degli insorti siriani, al fianco del quale (con un ambiguo rapporto di cobelligeranza) combattono milizie islamiche radicali, legate ad Al Qaeda e forti di circa 10mila uomini. All’interno dell’Unione Europea le nazioni sono divise sull’invio di armi ai ribelli.

Contro la proposta di Francia e Gran Bretagna si schierano Austria, Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda e Svezia, che si schierano sul fronte della neutralità. La Svezia è coinvolta, da ormai più di una settimana, da vere e proprie insurrezioni dilaganti della sua minoranza di immigrati musulmani. I disordini, scoppiati nel quartiere di Husby, di Stoccolma, ora coinvolgono anche altre città oltre alla capitale. Eppure nelle motivazioni che danno i governi neutralisti, non compare neppure il pericolo jihadista. Stando alla dichiarazione del ministro degli Esteri austriaco, Michael Spindelegger, che parla a nome del fronte neutralista: «(L’Ue, ndr), deve rimanere una comunità pacifica, senza farsi coinvolgere in questo conflitto». È dunque il pacifismo, l’unica ragione per non inviare armi che potrebbero, direttamente o per vie traverse, finire nelle mani degli jihadisti? Sembrerebbe di sì, considerando che la Ong che più si oppone alla fine dell’embargo è Oxfam, di chiara fama pacifista. «Non c’è alcuna risposta facile al bagno di sangue in Siria, ma inviare ancora più armi e munizioni, chiaramente non è la risposta giusta», dichiara Anna Macdonald, direttrice della sezione Oxfam sul controllo delle armi.

Anche qui si potrebbe aprire una parentesi: i russi hanno appena venduto missili anti-nave di ultima generazione al regime siriano. Gli iraniani inviano regolarmente armi all’esercito regolare. Dal Libano, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha appena dichiarato il suo “vinceremo in Siria!” facendo capire che l’intervento straniero di Hezbollah è già in corso ed è consistente. Solo gli alleati di Assad, secondo Oxfam, possono inviare “più armi e munizioni” e anche uomini sul terreno? L’Ue, invece, deve rimanere fuori? Sparisce oltre l’orizzonte il discorso sull’interesse europeo. Chi ci conviene appoggiare? Quale parte dell’insurrezione? Chi può tutelare meglio la sicurezza europea? Sono domande che non trovano risposta, perché non vengono nemmeno poste. Il momento in cui avviene questo dibattito, appunto, è delicatissimo. Dopo gli attentati di Boston, di Londra, le insurrezioni islamiche in Svezia e il fallito sgozzamento di un soldato francese anche a Parigi, abbiamo la dimostrazione che in Occidente, ma in particolar modo in Europa, esiste un grave problema jihadista. Non si è affatto estinto con la morte di Bin Laden, va oltre i “confini” riconosciuti di Al Qaeda e si intensifica proprio mentre i più importanti governi europei dimostrano di voler aiutare una causa (la lotta contro Assad) vicina agli interessi degli islamisti.

Il che dimostra due cose: che lo jihadismo non cambia mai obiettivi al cambiare della nostra politica estera. Non è una reazione a una politica occidentale ostile, ma una lotta contro l’Occidente in sé, che si alimenta da sola, per cause endogene, per un odio culturale prima ancora che politico. Anche se noi li aiutassimo di più, loro ci odierebbero ancora. Lo stesso Michael Abedolajo, il killer di Londra, era pronto a partire per la Siria. A combattere nelle file di quegli insorti che l’esercito britannico (compreso il soldato che ha sgozzato) vorrebbe aiutare. Secondo: a chi stiamo dando armi e sostegno logistico? Diventa sempre più imperativo conoscere la destinazione delle armi in Siria. In un momento di recrudescenza di terrorismo islamico, è essenziale stare attenti ad ogni singola munizione, per non trovarci, nelle nostre città, miliziani armati di lanciamissili anticarro invece che di semplici pentole a pressione o machete. Non possiamo permetterci di giocare a fare i Machiavelli e credere che armando il nemico lo si possa corrompere per portarlo dalla nostra parte.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:58