Dopo dieci giorni di consultazioni, il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, organo istituzionale della Repubblica Islamica, cui spetta il compito di vagliare le candidature e vigilare sulla buona riuscita delle elezioni, ha deciso chi ammettere e chi escludere dalla corsa presidenziale in programma il 14 giugno prossimo in Iran. Mercoledì 22 maggio, il Ministero degli Interni iraniano ha diffuso la lista definitiva dei candidati ammessi alle 11° elezioni presidenziali. Su 686 candidati che dal 7 all’11 maggio hanno avanzato la propria candidatura presso gli uffici del Ministero degli Interni, sono stati approvati solo otto nomi dal Consiglio dei 12 membri, composto soprattutto da teologi e giuristi in maggioranza conservatori intransigenti, strettamente legati al potere religioso iraniano. La lista definitiva include i seguenti candidati: Saeed Jalili, capo negoziatore sul nucleare, Hassan Rowhani, ex negoziatore sul nucleare, Alì Akbar Velayati, ex ministro degli Esteri, Mohammad Baqer Qalibaf, sindaco di Tehran, Mohsen Rezai, ex capo dei potenti Guardiani della Rivoluzione, Gholamali Haddad Adel, ex presidente del parlamento, Mohammad Gharazi, ex ministro delle telecomunicazioni e Mohammad Reza Aref, ministro della tecnologia, visto come l’unico riformista. Mentre, sono stati esclusi dalla corsa presidenziale, tra i 40 candidati spicco registrati nelle settimane precedenti, due delle personalità più chiacchierate e popolari della scena politica iraniana attuale; Alì Akbar Hashemi Rafsanjani ed Esfandiar Rahimi Mashaei. Due bocciature eccellenti, destinate probabilmente a far discutere. Rafsanjani, oltre ad essere il principale candidato dell’opposizione, è senza dubbio una delle personalità di spicco della Repubblica Islamica e un veterano del panorama politico iraniano. Egli ha ricoperto negli ultimi 30 anni ruoli di primo piano. Stretto confidente di Khomeini nel decennio 1980/1990; comandante delle forze armate iraniane nel 1988, su nomina dell’allora Guida Suprema Khomeini; presidente della Repubblica Islamica dal 1989 al 1997, eletto per due mandati consecutivi. Rafsanjani aveva instaurato negli anni ottimi rapporti con la Guida Suprema, Alì Khamenei, almeno fino al 2005 quando il legame tra i due iniziò a deteriorarsi a seguito della vittoria, del tutto inaspettata, di Mahmoud Ahmadinejad, allora sindaco di Tehran. Una frattura che si è allargata con le elezioni presidenziali del 2009, quando Rafsanjani ha espresso sostegno, seppur moderato, al movimento verde iraniano e ai due candidati rappresentanti dell’ala riformista, Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karrubi. L’esclusione di Rafsanjani dalla corsa alla presidenza della Repubblica Islamica ha inferto un duro colpo ai suoi sostenitori, i quali speravano in un cambiamento di rotta nella gestione degli affari interni e internazionali, soprattutto nel settore economico nazionale in crisi. La sua candidatura, registrata una manciata di minuti prima che l’ufficio per le registrazioni chiudesse, ha incontrato il sostegno dei riformatori e di una parte consistente dell’ala moderata. E ciò ha rappresentato una possibile minaccia per l’ala conservatrice vicina alla Guida Suprema, Alì Khamenei. Nonostante le ragioni addotte dai Guardiani della Rivoluzione a supporto della squalifica del candidato centrista e moderato, come l’età e la vita dissoluta vissuta tra lussi e agi – Rafsanjani ha 78 anni e si dice sia uno degli uomini più ricchi dell’Iran – il motivo più plausibile che possa spiegare la sua esclusione è da rintracciarsi nel possibile entusiasmo che la sua candidatura, vista come una sfida aperta contro i conservatori più intransigenti, poteva suscitare. In un editoriale apparso martedì sul quotidiano conservatore Kayhan, si invitava il Consiglio dei Guardiani a squalificare Rafsanjani, perché la sua candidatura poteva suscitare entusiasmi tra i nemici e gli oppositori del governo. "Una responsabilità divina e seria poggia sulle spalle del Consiglio dei Guardiani – si legge nell’editoriale - si tratta di salvare l'Ayatollah Hashemi Rafsanjani da un'esca pericolosa che è stato impostata per lui da nemici stranieri e dei loro collaboratori domestici”. La squalifica di Rafsanjani arriva a sorpresa e del tutto inaspettata, soprattutto fra i suoi sostenitori, in virtù del ruolo cruciale svolto dal candidato nel panorama politico iraniano. “La sua squalifica rimetterà in discussione i principi stessi della nostra rivoluzione e dei principi del sistema di governo della repubblica islamica", ha detto uno dei sostenitori dell’ex presidente all’agenzia di stampa Isna. Al contrario, non stupisce l’esclusione del delfino del presidente uscente Ahmadinejad, Esfandiar Rahimi Mashaei. Figura controversa e nel contempo invisa all’ala conservatrice vicinissima alla Guida Suprema, Alì Khamenei, per le sue posizioni nazionaliste. La sua esclusione era già stata preannunciata da tempo, nonostante il sostegno incrollabile garantitogli da Ahmadinejad. Mashaei è stato accusato dai sostenitori di Khamenei di venir meno ai principi dell’Islam e di non mostrare sufficiente fedeltà al leader Supremo. Con Rafsanjani e Mashaei tagliati fuori dalla corsa elettorale, con Ahmadinejad messo in un angolo da Khamenei, lo stesso che ne aveva garantito otto anni fa la sua elezione alla presidenza della Repubblica Islamica, con i riformisti ridotti al silenzio e con la scelta degli otto candidati, valutati da un organo che agisce sotto lo stretto controllo della Guida Suprema, le elezioni di giugno rischiano di trasformarsi in un tentativo da parte del leader supremo, l’Ayatollah Khamenei, di assicurarsi una continuità politica, attraverso la scelta di candidati che non mettano in discussione la sua agenda di politica interna ed estera.
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:41